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 2022  giugno 19 Domenica calendario

Acqua sprecata

Con sorpresa il Nord Italia sta riscoprendo l’acqua, una di quelle cose – come si dice con una frase fatta – di cui si comprende l’importanza solo quando te la tolgono: in molte zone del Sud, per un amaro paradosso, sono abituati da decenni a considerarla una risorsa scarsa e l’eccezionale situazione metereologica che sta mettendo in ginocchio mezza pianura padana è l’amara normalità.
Ora, certo, la siccità è una calamità, ma – a lasciar stare il non più così astratto tema del cambiamento climatico – moltissimo non ha funzionato nel modo in cui l’Italia ha gestito la sua riserva idrica e pianificato la risposta all’emergenza, anche nel ricco (d’acqua e di soldi) Settentrione: adesso recuperare sarà difficile, lungo e costoso. Il Pnrr, ad esempio, stanzia 4,38 miliardi su quest’obiettivo di qui al 2026: un recente rapporto di Utilitalia però, cioè le imprese del settore, stima che per rimetterci al passo col resto d’Europa – o detta altrimenti, con standard di minima civiltà – di miliardi ne servono 14, cioè oltre tre volte i fondi del Piano di ripresa e resilienza.
Partiamo da come siamo messi. Sia l’Italia inteso come Paese sia i suoi cittadini come singoli sprecano acqua e questo, alla lunga, impoverisce falde e bacini, non una buona idea in prospettiva. Partiamo dagli individui: il consumo pro-capite all’ultima rilevazione Istat era di 215 litri al giorno, un po’ meno che in passato, ma moltissimo di più rispetto alla media europea di 125 litri (dato Eureau). Le reti idriche del Belpaese, poi, sono un colabrodo: le perdite degli impianti di distribuzione ammontano secondo Istat al 42% in media nazionale, vale a dire che finiscono persi 42 litri d’acqua ogni 100 prelevati. Tradotto: stiamo impoverendo le fonti assai più di quanto serva e per farlo buttiamo centinaia di milioni ogni anno. Per capirci, la dispersione idrica in Francia è del 20% e in Germania addirittura dell’8%.
Il motivo è semplice: gli impianti sono vecchi (il 36% della rete ha un’età compresa tra 31 e 50 anni, il 22% ha più di 50 anni). Questo a non citare l’assenza di infrastrutture per il recupero dell’acqua piovana e le reti agricole (l’agricoltura in Italia consuma il 55% dell’acqua prelevata) e a dimenticarsi del disastro dei sistemi di fognatura e depurazione, che ci sono costati diverse procedure di infrazione europee per cui paghiamo ogni giorno decine di migliaia di euro di multe. Ognuno di questi dati medi peraltro, è bene tenerlo a mente, è parecchio peggiore nel Mezzogiorno, non casualmente una delle zone più a rischio di desertificazione in Europa (un rischio, e non è un refuso, che riguarda oltre metà del territorio in Regioni come Sicilia, Puglia, Molise e Basilicata).
La domanda a questo punto è: perché non abbiamo fatto quel che dovevamo? Be’, la risposta è noiosa e ovviamente complessa: in generale l’acqua non è un problema in larga parte d’Italia (ancorché quasi 1,5 milioni di persone ricevano un servizio idrico sotto gli standard minimi) e poi c’è un tema finanziario, che coinvolge le scelte degli operatori del settore (spesso pubblici o para-pubblici), la regolazione del servizio e le decisioni di bilancio dello Stato.
Negli ultimi decenni l’Italia ha costantemente ridotto la sua spesa in investimenti e i settori più penalizzati sono stati quelli meno appariscenti: la manutenzione e il rammendo del territorio, in particolare, come dimostra anche il caso del dissesto idrogeologico. In numeri – citiamo le stime Arera (l’Autorità per l’energia) – nel biennio 2020-2021 gli investimenti nel settore idrico sono stati pari a 49 euro pro-capite: meglio rispetto ai 40 euro del 2017, decisamente insufficienti rispetto agli oltre 90 euro della media europea. Volendo scomporre il dato per macro-aree, poi, nell’ultimo biennio si sono investiti 65 euro per abitante al Centro, 52 euro nel Nord-Ovest, 48 nel Nord-Est e 35 euro al Sud.
A fronte di questi numeri, il Piano di ripresa e resilienza assegna alle reti idriche 4,38 miliardi di euro (ci sono altri fondi, non enormi, anche disseminati nel bilancio pubblico, che traccia un piano di investimenti al 2040): per la precisione 2 miliardi del Pnrr servono alle reti primarie “in modo da garantire la sicurezza dell’approvvigionamento in tutti i settori”; 900 milioni “per ridurre del 15% le perdite d’acqua potabile”; 880 milioni serviranno per rendere più efficiente l’uso dell’acqua in agricoltura; 600 milioni per le reti di depurazione e fognarie nel Mezzogiorno. Quasi tutti questi lavori, però, avverranno dal 2024 al 2026 (se tutto va bene, ovviamente).
Problema: come detto, secondo un recente report di Utilitalia questi 4,38 miliardi sono meno di un terzo di quel che servirebbe. Solo per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento delle aree urbane e migliorare le reti si stima un fabbisogno di 7,8 miliardi di euro; altri 3,1 miliardi, secondo le imprese del settore, sono necessari a contrastare il fenomeno della dispersione idrica; gli ultimi 3 miliardi, infine, servirebbero per fognature e depurazione.
In questi giorni – e ancor più nelle prossime settimane e mesi, quando si accumuleranno (e conteranno) i danni – pare acclarato che l’acqua non è un problema che possiamo affrontare con comodo.