Il Messaggero, 19 giugno 2022
Se non mi piaci ti cancello
Dove arriveremo di questo passo? Se anche in Francia, inizia a imperversare la cultura del rifiuto, se anche lì nella patria dell’illuminismo prende piede la censura per gli autori del passato che non la pensano come noi e non rispettano i nostri valori, cosa mai succederà se questa moda tracimerà in Italia? Intere città sepolte nel silenzio. Gli affreschi di Pompei condannati all’afasia. I mosaici di Piazza Armerina cancellati da un velo nero, e non parliamo dei teatri greci, dei templi antichi, del Foro Romano messo al bando dalle guide turistiche, disertato dai visitatori. Non è la distopia di un futurologo pessimista, ma la conseguenza possibile di questa posa radicale che da anni miete le sue vittime oltre oceano, e quantunque assurda e ridicola è destinata a espandersi.
LA MAPPA
Per questo bisogna leggere questa mappa ragionata e capillare delle varie diramazioni che in America ha assunto la cultura del rifiuto, coi suoi annessi del wokism (da woke, esse cosciente) del vittimismo identitario. Americanista col gusto dell’inchiesta, Costanza Rizzacasa d’Orsogna rielabora gli articoli scritti per il Corriere della Sera, corredandoli di una serie di interviste ai protagonisti del dramma. Senza cedere all’irrisione, affronta l’argomento con molto scrupolo, sposando la preoccupazione di Anne Applebaum che equipara a una dittatura una società come la nostra dove gli arrabbiati della rete hanno sostituito i forconi, e dove c’è più spazio per la presunzione di innocenza. E soprattutto illustra il contesto della cancel culture, i suoi presupposti filosofici, e i possibili esiti. Scrive dunque pagine avvincenti sia quando ricostruisce la cronologia del fenomeno invalso da quando alcune università americane hanno sospeso l’insegnamento del greco e del latino nei corsi di lettere classiche, per non discriminare gli studenti meno favoriti, e soprattutto per consolidare la tenuta del bilancio compromessa dall’elefantiasi del personale amministrativo rispetto al corpo docente. E indica i danni collaterali della polarizzazione in atto nella democrazia americana, con la morte del dibattito, con l’odio straripante su Internet, col dilagare del paranoid parenting, l’ansia dei genitori per la performance dei loro figli dall’asilo alla laurea che rischiano di precipitare nell’ascensore sociale: da qui il safetysm, l’idea cioè che la sicurezza emotiva sia un valore prioritario, e quindi il coddling, l’eccesso di protezione che indebolisce i pargoli invece di temprarli.
LA DINAMICA
Ad essere in causa, prima di Omero, Eschilo e Senca, e prima e delle Metamorfosi di Orazio è la democrazia americana, perché la dinamica dell’eguaglianza si è inceppata, e gli indivudi anziché affidarsi ai principi universali, si pensano nella loro singolarità di genere, razza, preferenze sessuale. Ecco allora che trionfano il vittimismo e l’indignazione e il confronto di idee diventa impossibile, quando è in gioco l’identità stessa della società e i suoi valori. Ma il fatto grave è che la guerra culturale anticipa la guerra civile: è già successo e potrebbe risuccedere. Ben venga allora questa disamina serrata di fatti, cifre e dati sconcertanti, come la censura degli scrittori stronzi e misogini, da Philip Roth a Ernest Hemingway, delle scrittrici razziste, come la cattolica Flannery O’ Connor, o antisemite, come la giallista Patricia Highsmith, che un giorno si scrisse con una biro un numero sull’avambraccio, per prendere in giro i sopravvissuti della Shoah.
LE INTERVISTE
Ben vengano le interviste che costellano questo libro, come il canto del cigno di un un passato forse infama ma pur sempre vitale. «Perché si può anche rifiutare di leggere i libri di Philip Roth perché si disprezza l’uomo come la musica di Sinatra, i film di Polanski, i quadri di Picasso», dice il biografo dello scrittore, Blake Bailey, condannato alla gogna per l’accusa di aver abusato delle sue studentesse, «ma chi lo fa forse ha un’idea piuttosto gonfiata della propria purezza morale, e comunque si priva di molti piaceri».