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 2022  giugno 19 Domenica calendario

Cibo e politica. Due libri gustosi

Fra le figure del paratesto, quell’insieme di elementi dalla firma dell’autore ai titoli e titoletti che guidano la lettura, l’immagine della copertina funziona come una sintesi dell’intero libro. La foto del presidente americano Richard Nixon che sbircia il ministro degli esteri cinese Zhou Enlai per capire come usare le bacchette all’inizio del celebre pranzo ufficiale del 1972, racchiude in un solo lampo visivo tutti e ventidue testi del dottissimo libro curato da Massimo Montanari intitolato appunto Cucina politica. Con l’intenzione dichiarata di mettere a fuoco la «dimensione politica» e cioè nesso fra cibo e potere, sostiene il curatore, autorità massima di Storia dell’alimentazione: «Il cibo è una forma di linguaggio... significa e veicola idee e messaggi di straordinaria forza espressiva». Una storia che comincia con Carlo Magno trova il suo fulgore con Luigi XIV e si completa con il moderno nazionalismo culinario fino alla degenerazione contemporanea del gastropopulismo.
SOCIETÀ
Ma se c’è un luogo, non solo della geografia ma anche della storia, dove il linguaggio del cibo incide nel profondo dei comportamenti sociali e quindi si riflette nella dimensione politica, questo luogo è la Cina. Insieme alla lingua scritta, è la pratica della cucina il tratto che unisce tutte le latitudini del paese. È con questa convinzione che Siegmund Ginzberg ha scoperchiato il vaso dei suoi ricordi segreti di corrispondente dell’Unità (80-87), per cucinare con tutti gli ingredienti della sua prosa ricca di sapori una storia inedita del paese più misterioso, seppur più raccontato, dai tempi di Marco Polo.
«La Cina è la sua cucina, è come e quando si mangia... Tutta la storia cinese è un interminabile banchetto... L’armonia dei condimenti è una metafora ricorrente per l’armonia del buongoverno»: bastano questi excerpta, tre frasi scelte per spiegare il senso storico del titolo Colazione a Pechino senza rinunciare alle illuminazioni dello stile giornalistico di chi sa colorare la realtà con i toni del romanzesco. Infatti ha l’incedere di un intrigo internazionale la soffiata, con una telefonata all’ora di pranzo, che gli annuncia la defenestrazione del primo ministro Hu Yaobang (1986). La notizia fa il giro del mondo. Ma come ha potuto Ginzberg farsi le beffe del potente servizio di spionaggio del PCC? Semplice! Al momento del chifan, tutta la Cina si ferma per impugnare le bacchette per mangiare. Anche le spie.
Yaobang era un riformista e perciò è stato cancellato dalla storia. Fra le sue colpe il sogno di una timida liberalizzazione del maoismo. Per questo aveva suggerito a Ginzberg di andare a mangiare tortellini in brodo in una specie di ristorante privato, il primo esempio di capitalismo in un paese comunista. Quel primo ministro che rileggeva il giovane Marx piaceva tanto a Enrico Berlinguer in visita a Pechino nel 1983. E forse gli è piaciuta anche la zuppa di cetrioli marini di cui conosceva sicuramente anche il nome volgare. Una vera leccornia.
IL VERDETTO
Ben consapevole di maneggiare materiali ad alta intensità politica, al giornalista Ginzberg basta una sola delle sue storie per avere ragione dello schieramento accademico, troppo eterogeneo ed erratico, messo in pagina dal professor Montanari. Eccola: convinto della naturale inclinazione alla ribellione dei popoli abituati alla cucina dai forti sapori, come nel suo Hunan, Mao arrivò a teorizzare un nesso fra l’ideologia comunista e il gusto: «Niente peperoncini piccanti niente rivoluzione».