Corriere della Sera, 18 giugno 2022
Un libro sulla Grande guerra
Trama e ordito. Gesti secchi, capaci. E poi, quando il tessuto è perfetto, decorarlo con creatività e pazienza, renderlo unico. Precisione e fantasia, il ricamo richiede entrambi i talenti. Questo fa sulle pagine bianche Ilaria Tuti, che nel suo nuovo romanzo (Come vento cucito alla terra, Longanesi) torna a raccontare le donne e la Prima guerra mondiale. E questa volta le segue non nelle terre di confine in cui lei stessa è nata (come aveva fatto con le portatrici carniche di Fiore di roccia), ma tra Inghilterra e Francia, dove il sangue dei soldati tinge di rosso le acque della Marna, dove un manipolo di donne chirurgo sceglie di prestare servizio curando, assistendo, salvando i militari feriti, superando ostracismi e pregiudizi, non solo dei maschi. Tra loro c’è anche un’italiana. Rammenda la pelle come una dea. E con le colleghe mette a punto un processo di riabilitazione per curare la sindrome da stress post traumatico. Il ricamo. Uomini e punto croce. Niente di più intelligente.
Partiamo da lei, Cate (Caterina) Hill, la protagonista. Mezza inglese e mezza italiana (e quindi guardata con ostilità in quegli anni di nazionalismi feroci), chirurga a cui non è consentito esercitare, e infatti fa la ginecologa nell’ospedale di Harrow Road a Londra, madre di una bambina ma non sposata. Niente male come curriculum se si pensa che siamo nel 1914. Cate con la sua mano ferma fa nascere bambini e rammenda prostitute sfregiate, vive con Mina e Joseph, che curano la sua bambina, Anna. Tutto questo fino a quando riceve la chiamata di due dottoresse suffragette, Flora Murray e Louisa Garrett Anderson, realmente esistite, leggendarie figure nella lotta per i diritti femminili (e nella cura dei soldati): «Vogliamo aprire un’unità chirurgica gestita da sole donne. Per uomini. In zone di guerra», propongono. Anche questa è una battaglia. «Accontentarmi? Potrei, certo, ma per chi? Per me, o per mia figlia? Con che diritto devo dirle che il suo sarà un futuro di limitazioni perché sua madre non ha avuto il coraggio di lottare?».
Cate non si tira indietro. Insieme alle altre mette coraggio e competenza per vincere gli sguardi ostili. Dei pazienti, ma anche dei vari ispettori che aspettano il primo passo falso per mandare tutto all’aria, per vedere fallire il piano delle «Lady Doctors». Non ci riusciranno. Le chirurghe (altro fatto vero) arrivano a Parigi, dove aprono il primo ospedale di guerra interamente gestito da donne, le dottoresse del Women’s Hospital Corps.
Pioniere. Lavoratrici. Indipendenti. Ma quella di Ilaria Tuti non è solo una storia di donne, per quanto appassionante, per quanto a un certo punto ci si mettano pure i reali britannici a perorare la causa delle «Lady Doctors».
Come vento cucito alla terra (il titolo richiama i versi della poetessa Marina Cvetaeva: «L’amore è sutura, con cui il vento è cucito alla terra») è prima di tutto una storia di guerra. Di dolore, di perdite, di ferite spesso non curabili.
Conflitti
Protagonista una madre (e medico) italo-inglese che si confronta con i sogni perduti dei soldati
Con le sue parole profonde e dense – mai pesanti – Ilaria Tuti ci porta nelle trincee, nel fango, ci fa conoscere soldati impavidi e altri terrorizzati, ci accompagna a vedere, da vicino, le loro sofferenze, i traumi, i sogni giovanili spenti per sempre. Tocca le loro anime e ce le fa ascoltare. Racconta il conflitto di un secolo fa con la precisione di uno storico, ma allo stesso modo ci ricorda i drammi di oggi, accende i riflettori sull’orrore di chi la guerra la combatte o la subisce, di chi sul fronte perde la vita, gli arti, la ragione. Ci fa sorvolare l’inferno della battaglia, artiglieria e urla. E poi i campi, in cui fioriscono papaveri, «tremuli come la speranza. A volte riempivano intere colline, come le fosse comuni; le radici si nutrivano di sangue». Fiori che diventano simbolo.
Nell’ospedale delle dottoresse – che da Parigi tornano a Londra, nel nosocomio militare di Endell Street – i soldati non arrivano volentieri. Non si fidano, non vogliono farsi vedere fragili, mutilati, non accettano le cure delle chirurghe. Non le tollerano.
Sarà un cammino difficile, anche quello del capitano Alexander Seymour, altro protagonista di questa storia di emancipazione, non solo femminile (oltre che di amore). Il capo nobilissimo di una squadra famosa, anche se ferita: fiero, ricco, bello, maschio, promesso sposo. E all’improvviso ridotto in un letto, senza una gamba, inseguito dagli incubi, dai sensi di colpa, dalla paura. Uscito vivo dalla battaglia e destinato ad affrontare nuovi mostri. L’impatto con le dottoresse non è facile: «Ascoltatemi bene, razza di maleducato. Mi sono guadagnata il titolo di dottore, nelle aule di università prima e tra il sangue dei soldati dopo. Se ci sono riuscita è perché quelli come voi me li lascio alle spalle e vado avanti», lo attacca Cate. Per fortuna c’è il ricamo.
E la lettura, la recitazione, la musica. Buone pratiche britanniche (difficile vedere un italiano che fa scorrere il filo nell’ago e decora cuscini, arazzi, tovaglie; per fortuna nel Regno Unito ci sono riusciti), punti perfetti che placano i fantasmi della trincea. E che nella società inglese di inizio Novecento accendono pensieri maligni, intolleranti. Donne che vogliono essere uomini e curano i malati rendendoli femminucce.
La campagna denigratoria parte all’istante. E anche qui ci saranno vincitori e vinti. Quelli che Ilaria Tuti ci ha insegnato a guardare con compassione, anche se è chiaro da quale parte stia. Quella di una donna medico in pantaloni, di un attore che è anche segretario del club di punto croce, di una suffragetta che ha visto la galera, di una ragazza madre…