Robinson, 18 giugno 2022
Biografia di Tom Parker, braccio destro e anima nera di ElvisPresley
L’uomo che ne costruì il mito e contribuì a distruggerlo
La variante della biografia ( o dell’autobiografia) di un personaggio famoso è la biografia ( o l’autobiografia) del personaggio secondario, nemico amico amante ovvero parente della star. Un punto di vista laterale che, orientando il riflettore su una figura minore, illumina comunque di riflesso la personalità più importante, o comunque più famosa. Perciò ecco il libro sull’agente di Salinger, sul figlio di Dino Risi, sulla moglie di Dostoevskij, sulla mamma di Dave Grohl. Elvis e il Colonnello, appena uscito per Rizzoli, tratta di Tom Parker, il leggendario manager di Presley, colui che ne fu insieme abile levatrice e misero aguzzino, artefice delle sue fortune e delle sue disgrazie.
L’autore del libro è James L. Dickerson, già responsabile di altri volumi intorno al mito di Presley, qui impegnato a svelare i misfatti di Tom Parker, al secolo Andreas van Kuijk, olandese immigrato (clandestino) negli Usa, educazione professionale nelle fiere e nei circhi, uomo pittoresco nel parlare e nel vestire, imbroglione interessato unicamente al denaro che poi sperperava nel gioco d’azzardo. Il libro racconta la parabola vampiresca di un genio del raggiro, che in barba alle regole e alle consuetudini del mestiere succhiò a Presley oltre la metà dei suoi guadagni, stritolando la sua carriera fra dischi mediocri, filmetti per ragazzine e tour massacranti, e in qualche modo – ma questo sarebbe arduo da dimostrare – responsabile della sua prematura scomparsa.
Il libro di Dickerson risale in realtà a vent’anni fa, e a parte un accenno finale alla presidenza Trump, non pare avere aggiornato il lavoro su documenti e interviste recuperate entro il secolo scorso. Se esce ora in Italia è per via del rutilante Elvisdi Baz Luhrman, presentato all’ultimo Cannes, in cui Tom Parker ha il faccione bolso di uno strepitoso Tom Hanks. Perciò molti aneddoti sono già noti agli specialisti del Re: l’esordio discografico con That’s All Right, Mama,
inciso da Elvis con una band improvvisata dopo una serie di provini a vuoto; la reazione stizzita del cantante al suo nomignolo più famoso, “Elvis the Pelvis” («una delle espressioni più infantili che abbia mai sentito dire da un adulto»); oppure l’incontro fra June Carter e il futuro marito Johnny Cash, propiziato dalla predilezione di Elvis per Cry, Cry, Cry di Cash, continuamente ascoltato al jukebox.
Il volume vale per le ricerche sulle malefatte manageriali di Parker, per la sequela di tradimenti e sgambetti dettati dalla gelosia verso Elvis ( nei confronti dei suoi antichi compagni di band, e del nascente amore per la minorenne Priscilla) e soprattutto dalla brama di denaro: il colonnello non era un appassionato di musica ma s’intendeva di numeri e di contratti, e con metodi ( e modi) da giostraio impose il nome di Presley nel giro dei concerti, della discografia e pure di Hollywood, in modo da spremere dalla star quanto più contante possibile. Con la sua avidità ha dato un abbrivio indiscutibile alla costruzione del mito Elvis ma ha pure preso parecchie cantonate: prima che a Paul Newman, Hollywood aveva offerto a Presley il ruolo di Chance Wayne neLa dolce ala della giovinezza, una fra le proposte cinematografiche che Parker non gli permise di accettare; e se fosse dipeso solo dal Colonnello, due pezzi capitali comeSuspicious Minds eIn the Ghetto non sarebbero mai usciti per questioni di rivalità manageriali.
Non tutto funziona, va detto. Lo stile del libro è quello giornalistico più andante, e raccontato con più di una scorciatoia (a proposito delle ricorrenti minacce di morte allarockstar, Dickerson attribuisce disinvoltamente a Parker questa posizione: «Se volevano uccidere Elvis che lo uccidessero. Non erano affari suoi» aggiungendo subito «o almeno così pareva pensare» !). Nel tentativo di far parlare i fatti, Dickerson accumula cifre e dichiarazioni ma finisce per spiegare poco, descrivendo il personaggio come un demone monodimensionale, per il quale non è prevista una parvenza di interiorità che aiuti a comprenderlo. Le incertezze sono tante: troppi i giudizi contrastanti, le congetture senza prove, gli indizi che non portano da nessuna parte. Dickerson sceglie infine la strada della prudenza, e dopo averlo dipinto per decine di pagine con toni sarcastici, nell’ultimo capitolo sospende il giudizio: il Colonnello aveva l’anima nera di un avido arrivista o era solo un simpatico buffone con un debole per il tavolo verde?
Come sempre accade – ma era già tutto previsto – il cuore del lettore si è intanto concentrato sul vero protagonista, il musicista nato a Tupelo e morto a Memphis a soli 42 anni, uno dei padri del rock’n’roll, agnello sacrificale dello show business, icona pop globale, nome ancora redditizio – a quasi mezzo secolo dalla scomparsa – nella musica, nel cinema e nell’editoria.