la Repubblica, 18 giugno 2022
Il tramonto del M5S
Non è facile stabilire se stiamo assistendo a un dramma comico o a una commedia tragica, ma davvero sembra scritto da un grande romanziere questo spettacolare tramonto dei cinquestelle. Ora, che la parabola di un Movimento passato dal «vaffa» alla pochette a tre punte fosse in fase calante s’era capito da un pezzo, ma onestamente nessuno si aspettava questa scoppiettante resa dei conti, un colpo di scena dopo l’altro, con i personaggi che entrano tutti insieme sul palcoscenico e se le danno di santa ragione, tra i fischi del pubblico e le urla dell’impresario.
Nell’episodio precedente abbiamo assistito all’accoltellamento del Movimento 5 Stelle, che in una sola domenica è passato dal 33 per cento delle politiche al 3 per cento delle amministrative: il partito di maggioranza relativa in Parlamento che non riesce a far eleggere un suo sindaco – uno solo – in una grande città.
Quella che stiamo vedendo adesso è invece la scena in cui i protagonisti si accusano a vicenda di essere l’autore del delitto. Di Maio – ministro prima con Salvini, poi con Speranza e quindi con Draghi – rimprovera a Conte di aver provocato lapiù pesante sconfitta nella storia del Movimento perché imita il leader leghista attaccando il governo «un giorno sì e uno no». Conte – che da premier chiedeva a Di Maio come comportarsi in Parlamento: «Posso dirlo?» – lo avverte che non lo caccerà solo perché «si sta cacciando da solo». Dietro di loro, Grillo benedice il divieto del terzo mandato per il suo ex pupillo Gigino, autorizzando «il sacrificio di qualche vero o sedicente Grande Uomo». E intanto arriva Casaleggio jr – l’uomo che fu il potente custode dei misteri della democrazia elettronica pentastellata – chiedendo a Conte come mai dopo una simile scoppola «non abbia messo a disposizione lasua mono-candidatura».
Sono lontani i tempi in cui il M5S sembrava un monolite impenetrabile, forse perché qualunque dichiarazione doveva avere il visto di Casalino, e chi osava alzare un sopracciglio veniva subito espulso. Erano gli anni delle grandi battaglie contro la Casta. Contro le auto blu. Contro i premier e i ministri che viaggiavano sugli aerei di Stato. Contro gli “stipendi d’oro” dei parlamentari. Contro la Nato che costava troppo. Contro l’euro che uccideva l’economia italiana. Contro la Tap che era inutile.
Bei tempi, quelli. Loro, eroicamente, salivano sul tetto di Montecitorio, e il popolo applaudiva. Poi purtroppo hanno scoperto che la Nato è una garanzia, che l’euro è irrinunciabile, che la Tap è utile, anzi utilissima ora che Putin ci chiude il gas. Fico, che appena eletto presidente della Camera si faceva fotografare sull’autobus, adesso non si muove – opportunamente – senza l’auto blu e la scorta. Di Maio sale e scende – giustamente – dagli aerei di Stato.
E molti di quei 225 deputati e 111 senatori eletti nel 2018 si sono poi accorti che 15 mila euro al mese in fondo fanno comodo, e non c’è motivo di restituirne una quota al Movimento visto che al massimo si rischia di non essere ricandidati a unseggio che non ci sarà più. Intanto il monolite si è spaccato in due. Da una parte i governisti, guidati da Di Maio, l’uomo che diceva «mai col Pd, il partito di Bibbiano che toglie i bambini alle famiglie con l’elettrochoc» e ora guai a toccargli il Pd: la sua parabola ricorda sempre di più quella di Angelino Alfano, il suo predecessore alla Farnesina che per restare al governo ruppe con Berlusconi. Dall’altra i movimentisti, i seguaci di Conte che litiga con Grillo ma poi ci va a pranzo, che contesta Draghi ma poi lo vota, che stringe accordi con Letta ma negando l’alleanza «perché non c’è nulla di scritto», insomma l’eterno cerchiobottista che non decide mai («Sua Quasità», l’ha battezzato Francesco Merlo).
E oggi il paradosso surreale è che quel che rimane del monolite a cinque stelle viaggia a tutta velocità contro il muro sul quale i grillini erano saliti per cacciare «i professionisti della politica» – il limite dei due mandati parlamentari, che metterà fine alla carriera di molti di loro – dopo il quale c’è la trappola che loro stessi hanno progettato, costruito e agitato come una grande vittoria: il taglio dei parlamentari, del quale saranno le prime vittime. Bisognerà dunque aspettare il prossimo atto, per capire se il tramonto del Movimento 5 Stelle – che domenica non ha avuto neanche il voto del suo fondatore – sarà un dramma, una farsa o una tragicommedia.
Nessuno si aspettava questa scoppiettante resa dei conti tra governisti e movimentisti e il crollo dal 33% del 2018 al 3% delle ultime Comunali Ciò che resta del Movimento viaggia verso il muro del limite dei due mandati