il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2022
L’Nba vale 10 miliardi
Se una mattina di giugno del 2016 un viaggiatore si fosse trovato nella metropolitana di Shangai avrebbe percepito qualcosa di strano: dagli schermi luminosi della pubblicità sorridevano LeBron James e Stephen Curry, due campioni di basket Usa. Anche se oggi i rapporti con Pechino sono meno buoni, l’Nba non è più da tempo la Lega quasi fallita degli anni Settanta, la parente povera dei campionati di baseball e football, ma una potenza narrativa globale con 800 milioni di appassionati, ricavi diretti per circa 10 miliardi di dollari e che, da tre decenni ormai, va ben oltre lo sport.
L’ultimo atto del 2022 è finito la scorsa notte: i Boston Celtics sono stati battuti nella 75esima finale Nba dai Golden State Warriors di Steph Curry, la squadra più divertente degli ultimi anni e – con le sue sei finali e quattro titoli in otto anni – una di quelle che negli Usa chiamano “dinastie”, le squadre che segnano un’epoca e che l’odierna Nba provvede poi a mitizzare anche fuori dai campi di basket (e quest’ultimo titolo, dopo due anni di mediocrità, è un classico narrativo: il comeback, il ritorno dei campioni). Proprio in queste settimane, peraltro, Sky manda in onda la serie Hbo Winning time che racconta le gesta di un’altra dinastia: i Los Angeles Lakers dello “showtime”, la squadra degli anni Ottanta nata attorno a Magic Johnson e Kareem Abdul Jabbar, i cui rivali erano, ancora, i Celtics (una serie che è assai di più di un racconto sportivo: uno dei registi, Adam McKay, è lo stesso di Don’t look up).
I Lakers, la squadra di Hollywood, sono la plastica rappresentazione della Nba come macchina narrativa globale: sport&showbiz, groviglio ormai inestricabile, a cui da ultimo s’è aggiunto l’attivismo politico (soprattutto in chiave Black lives matter). Per capirci, il più famoso giocatore in attività, LeBron James, si è trasferito quattro anni fa nella franchigia losangelina soprattutto per i suoi interessi economici, cinema in testa: cosette che ne hanno fatto, insieme ai considerevoli stipendi (41 milioni quest’anno), il primo sportivo al mondo a guadagnare oltre un miliardo di dollari durante la sua carriera da atleta.
Il primo a riuscirci, ma dopo il ritiro, è stato invece l’uomo che ha reso la Lega di basket Usa quello che è oggi: Michael Jordan, his airness. Un solo esempio: prima delle sue Air, il mercato delle scarpe da basket era dominato da Converse e Adidas e Nike era solo una media azienda dell’Oregon. Ovviamente anche MJ ha avuto le sue celebrazioni cinematografiche: nel 1996 fu il protagonista del clamoroso successo Space Jam (il secondo, con LeBron, è del 2021); in pieno lockdown Netflix ha rilasciato The Last Dance, documentario in dieci puntate sull’ultimo anno della sua dinastia, i Chicago Bulls 1991-1998. Ovviamente record di spettatori.