la Repubblica, 17 giugno 2022
Intervista a Francesco Piccolo
«Lo scrittore può ribellarsi al ruolo di intellettuale che deve ribadire cose giuste, cose che tutti già pensano. Al contrario, è la verità che conta quando scrivi». Francesco Piccolo, scrittore e sceneggiatore prolifico – per Moretti, per Virzì, premio Strega con Il desiderio di essere come tutti (Einaudi) nel 2014 – mette subito in chiaro verso quale polo del “dilemma”, che lo vede protagonista oggi a Bologna alla Repubblica delle Idee, propende. L’incontro si tiene nell’innovativo Spazio dei dilemmi, format che mette a confronto tematiche antitetiche, e sin dal titolo pone una questione fondamentale: scrivere cose giuste o scriverecose vere?
Il giusto e il vero sono due categorie filosofiche che quasi mai coincidono.
«Per questo è importante per uno scrittore cercare di non rispondere esattamente a ciò che i lettori si aspettano di leggere. Il ruolo di chi scrive nei decenni si è appiattito su quello che ci si aspetta da lui: cioè che gli scrittori dicano cose giuste. Invece lo scrittore dovrebbe far sentire la sua voce quando ha da dire qualcosa in più, qualcosa di meno scontato. Io propendo piuttosto per il vero».
Nei suoi libri in effetti di vero ne incontriamo parecchio.
«Diciamo che nei miei libri il vero è necessario. Il giusto è squalificato. La letteratura deve avere il compito di rivelare cose anche non piacevoli, non rassicuranti, non migliorative.
Non si deve proporre di mostrare la strada migliore ma “far vedere” lastrada migliore, che è anche una maniera più profonda di migliorarsi».
Quanto conta l’ironia per uno scrittore? E l’autoironia?
«Moltissimo. Anche perché credo che, come diceva Frank Capra, serva a rompere la rigidità del lettore.
Attraverso l’ironia in qualche modo indebolisci il lettore, lo seduci, gli piaci e questo ti consente di avere un rapporto più empatico e di spingere un po’ di più. L’ironia però non è un compito che uno si può dare: è come quello che decide di andare a una cena e deve fare il simpatico, di solitoci riesce poco».
Dicevamo di Frank Capra: lei è presente anche dietro a molti film.
Come cambia la scrittura quando si scrive per il cinema?
«Cambia dal punto di vista tecnico, ma non cambia davvero come atteggiamento. Anche i film devono scavare, attraverso i personaggi e le storie, dentro a delle verità. In fondo il cinema ci ha fatto amare i peggiori killer, perché creano un’empatia nel racconto che è fondamentale. La commedia all’italiana, per esempio, ha la bellissima caratteristica di nonrendere mai un personaggio del tutto negativo o del tutto positivo, ma gli dà sempre una doppia valenza.
Anche il poveraccio, anche l’egoista, il cattivo ti fanno tenerezza. È un po’ la caratteristica di Sordi, di Gassman, di Tognazzi. Ecco questo corrisponde molto alla verità, si avvicina molto a quello che sono le persone nella vita».
Ci può anticipare qualcosa su questo workshop “interattivo” che avrà con i lettori: come si svolgerà?
«Lo capirò facendolo! In realtà io pongo delle questioni intorno alle quali si svilupperà un dibattito tra gli ascoltatori, al quale prenderò parte anch’io. È una formula nuova, proposta per la prima volta. Ed è interessante che chi viene per ascoltare non sarà solo ascoltatore».
E se volessimo dare qualche consiglio agli aspiranti scrittori che saranno a Bologna?
«Credo che nel titolo del dilemma ci sia già il consiglio principale: provare a trovare una propria verità. Faccio un esempio: se non ti interessano i gatti, non puoi essere chiamato a fare delle battaglie in favore dei gatti. Le puoi fare certamente, salvare i gatti è un pensiero comune, ma devi imparare a lottare per le cose che ti stanno veramente a cuore. Questo è un consiglio di scrittura: avere a che fare con storie e temi che ti stanno cuore, non importa che siano condivisi o condivisibili».
Qual è allora oggi il ruolo dello scrittore in un paese come l’Italia?
«Lo scrittore si deve sottrarre al ruolo ecumenico di intellettuale che rimette a posto le cose dal punto di vista etico. Non si deve sentire in dovere, in questo momento, diparlare di una cosa enorme come la guerra in Ucraina se non ha qualcosa da dire. Non deve interpretare un ruolo etico-retorico. Vedo invece una richiesta contraria, di renderlo sempre più militante, visibile. Ma se è impegnato a prescindere da quel che sente necessario, si mette dentro a un fiume di pensiero comune che non serve a niente. Io penso che possa stare un po’ più in disparte e parlare e scrivere quando ha qualcosa da dire».
E lei che scrittore è?
«Io sto cercando di raccontare quello che vorrei essere».