La Stampa, 17 giugno 2022
La faida Conte-Di Maio
Deve aver vissuto un déjà vu, Giuseppe Conte, quando ieri mattina ha visto le immagini di Luigi Di Maio attorniato dai cronisti in piazza del Parlamento. Lo stesso luogo in cui, nel gennaio scorso, dopo la rielezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, si era consumato il primo strappo tra i due. Stesso luogo, stessi toni incendiari. Ma stavolta nessuno intorno a Di Maio, nemmeno tra i suoi fedelissimi, si spinge a dire: «Luigi non lascerà mai il Movimento». Una frase che negli anni più turbolenti vissuti dall’ex capo politico M5S era diventata un punto fermo di ogni prospettiva politica, una convinzione incrollabile su cui si infrangevano polemiche e schermaglie interne. E che in queste ore, invece, non si vuole ripetere.
Conte è spiazzato, «ma non lo cacciamo via», assicura parlando con La Stampa, perché «in realtà Di Maio si sta cacciando da solo». Aveva notato, in mattinata, la dichiarazione con cui il senatore del Pd Andrea Marcucci benediva la possibilità di un’alleanza con «un Movimento di Di Maio». I suoi collaboratori gli avevano portato l’agenzia e Conte, adesso, unisce i puntini: «È un assist centrista, un bacio telematico. Si parla di movimenti al centro, si vedrà cosa succederà». L’ex premier è convinto che Di Maio elettoralmente non abbia peso. Potrebbe entrare nel grande centro, è vero, ma un conto è farlo al fianco di Carlo Calenda, Giancarlo Giorgetti e Mara Carfagna, con cui – sostiene Conte – non avrebbe davanti a sé floridi orizzonti elettorali. Diverso, invece, sarebbe se in questa forza politica entrassero anche governatori di peso come i leghisti Massimiliano Fedriga e Luca Zaia.
L’ipotesi di una scissione è davvero concreta. Si potrebbe consumare il 21 giugno, quando Mario Draghi sarà in Parlamento e la maggioranza dovrà votare una risoluzione in cui Conte vorrebbe inserire lo stop all’invio di altre armi all’Ucraina. Qualcuno ventila anche l’ipotesi che i Cinque stelle, in quell’occasione, possano provocare una crisi, ma l’ex premier allontana certe suggestioni: «Macché usciamo! È vero, tutti mi chiedono di farlo, ma io non sono uno che gioca partite doppie. E vi sembro poi un antiatlantista e antieuropeista? Non lo sono affatto e non lo sono mai stato». I rapporti con palazzo Chigi però sono ridotti all’osso, lo riconosce lo stesso leader M5S: «Il problema vero, con Draghi, è che manca una dialettica politica. Noi abbiamo un gigantesco problema di politica economica, ma che cosa vuole fare il governo, qualcuno lo ha capito? Io no, perché Draghi non lo spiega». Per Conte, sopra ogni cosa, «manca un luogo nel quale discutere. Ormai sono saltate anche le cabine di regia, mentre c’è una recessione alle porte. È questa una sana democrazia?». Niente di personale, assicura, «io non ce l’ho con Draghi, ma lui deve ascoltarci e trovare luoghi nei quali questa dialettica politica si deve sviluppare, perché altrimenti, così, non possiamo andare avanti».
L’ex premier è concentrato sull’attività di governo e sulle risposte che il Movimento deve dare ai cittadini, perché anche da qui passa il risultato deludente delle Amministrative. Conte a La Stampa non nasconde che «abbiamo avuto una scarsa performance elettorale alle Amministrative, su questo non ci sono dubbi». Lo ripete anche per scacciare l’accusa di non volersi assumere la responsabilità della sconfitta, lanciata ieri da Di Maio. Però, aggiunge, «abbiamo studiato un’analisi molto approfondita del voto e quello che viene davvero fuori con forza è il peso dell’astensionismo», dice. Un peso che grava soprattutto sulle spalle dei Cinque stelle: «I nostri elettori sono i più astensionisti, rispetto a tutti gli altri partiti, ma questo è un problema che riguarda tutta la nostra democrazia». L’astensione in alcune città, come a Palermo, «è arrivata al 60% – fa notare ancora Conte -. Dobbiamo tutti fare una grande riflessione».
Nel frattempo, i tentativi di riallacciare i fili tra Conte e Di Maio falliscono, uno dopo l’altro. Interviene anche Beppe Grillo, ma il Garante non ha certo il carattere più adatto a smussare gli angoli e ricomporre le fratture. Ieri mattina ha cercato Di Maio, senza riuscire a parlarci. Poi nel primo pomeriggio ha chiamato Conte e il senso del messaggio recapitato è questo: «Se non vuoi ricucire con Luigi, ne hai tutto il diritto, ma preparati alle conseguenze. La responsabilità è tua». Un via libera ruvido, in cui resta sommersa una marea di obiezioni, ma il leader M5S di più non poteva chiedere. —