il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2022
I curdi non possono fare i reporter
In un nuovo attacco alla società civile curda, un tribunale turco ha confermato ieri il carcere per 16 giornalisti curdi con l’accusa di ‘appartenenza a gruppo terrorista e propaganda terrorista’ a Dyyarbakir, nel sud-est del paese, durante la preparazione di un programma televisivo trasmesso in Belgio e Gran Bretagna. Gli arresti erano avvenuti l’8 giugno scorso, quando a essere fermati, senza accuse formali, erano stati, in 21; gli avvocati dell’accusa, secondo quanto riferito dalla Media and Law Studies Association e da fonti locali, avrebbe chiesto per due volte una estensione della custodia: 5 sono stati rilasciati sotto vigilanza giudiziaria. Secondo l’associazione dei giornalisti turchi Adds, gli arrestati lavoravano per una testata vicina al Partito Democratico del Popolo, (Hdp) filo-curdo, che in Turchia rischia di finire fuori legge per i suoi presunti legami con la resistenza curda allo stato turco. Si tratterebbe dell’agenzia di stampa del Pkk, il Partito curdo dei lavoratori, già inserito fra i gruppi terroristi da governo turco, Unione europea e Stati Uniti. L’Hdp nega però rapporti formali con il Pkk. Fonti giornalistiche locali riferiscono che gli arrestati sarebbero stati interrogati a lungo sul contenuto del loro lavoro. Una ingerenza che Erol Onderoglu, rappresentante della filiale turca di Reporters senza Frontiere, ha definito ‘un tentativo di indebolire la classe politica curda e togliere loro la voce” in previsione delle elezioni presidenziali del prossimo anno. Nella classifica sulla libertà di stampa nel mondo di Rsf, la Turchia è al 149º posto su 180. La commissione giustizia del parlamento mercoledì scorso ha approvato una legge che autorizza il carcere per chiunque, giornalista o comune cittadino, sia ritenuto colpevole di “diffusione pubblica di disinformazioni”. Lunedì scorso 837 giornalisti di 62 testate hanno diffuso un comunicato a sostegno dei colleghi definiti vittime di ‘un attacco alla libertà di stampa”.