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 2022  giugno 16 Giovedì calendario

Intervista a Nicola Piovani


ROMA Occasione solenne, alla radice dei principi della civiltà del diritto celebrati da Eschilo. Risalgono a 2.500 anni fa, quando la legge ateniese istituì il primo Tribunale dove l’ordine era affidato non più alla vendetta e alla violenza ma alla ragione, alla parola, al confronto. Nicola Piovani col suo orizzonte ampio che racchiude l’Oscar con Benigni, Vittorio Gassman, i fratelli Taviani, Gigi Proietti, eseguirà il 22 luglio in diretta su Raitre, con Orchestra e Coro dell’Opera di Roma, nella piazza del Quirinale e alla presenza del presidente Sergio Mattarella, la sua Cantata Il sangue e la parola. Il testo, scritto con Paola Ponti, è liberamente tratto dalle Eumenidi di Eschilo, dalla Costituzione italiana e dai lavori preparatori all’Assemblea Costituente.
Piovani, come si assemblano le tre fonti?
«Una decina d’anni fa rilessi l’Orestea. E poi m’imbattei in una bella versione teatrale con la regia di Luca De Fusco. Il discorso di Atene nelle Eumenidi, che ricordavo vagamente, mi impressionò. Conteneva assonanze con i temi che riguardano la Costituzione. Quei versi mi apparvero adatti a cantare lo slancio morale e civile che animava la volontà di chi faceva politica alla fine della guerra».
Quale musica?
«Due voci di soprano danno voce ad Atena e alla Civetta, animale a lei sacro, la voce recitante raccorda il canto al racconto in prosa, poi il coro. La mia musica insegue la contemporaneità, il mio oggi è fatto di simultaneità, nella babele musicale in cui viviamo, non riesco a mantenermi nei binari di una sola lingua».
Una creazione a tesi ingabbia la libertà d’ispirazione, la condiziona?
«Non la vivo così, anzi. Questa Cantata non l’ho scritta su commissione. La covo da tempo. Ero vicino a realizzarla col Maggio a Firenze, poi s’incagliò per le vicissitudini dei teatri italiani, misteriose più degli oracoli della Pizia. Fortunatamente il progetto è arrivato al presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato e al suo predecessore Giancarlo Coraggio».
Scriverà una seconda opera lirica dopo «Amorosa presenza»?
«È andata in scena a gennaio a Trieste dopo un’incubazione di 40 anni. I teatri lirici non sono interessati a nuove opere come la mia, che mira a diventare repertorio, ogni volta che le ho proposte ho trovato risposte evasive. Sono più attratti dagli eventi delle prime assolute, che spesso sono ultime. Un tempo si lanciavano nuovi titoli, oggi nuove regie di vecchi titoli. Ci sarebbe bisogno di una rivoluzione, se il termine non fosse usurato ed equivoco».
Proietti
Di Gigi mi manca tutto, le sue telefonate notturne erano puro divertimento
Qual è la sua rivoluzione?
«Si dovrebbe praticare la distribuzione circolare di una produzione che costa molto ai cittadini e non può esaurirsi in cinque repliche in una sola città. Non si può collegare l’arte al lusso, una prima può anche costare 5.000 euro a poltrona ma le repliche devono creare nuovo pubblico e non allontanarlo. Ma io sono preoccupato anche per ciò che succede all’estero, pare che i russi vogliano ribattezzare Mariupol col nome di Zdanov, il burocrate di Stalin avversario di un genio come Shostakovich, schiacciato dal realismo socialista, dalle accuse di formalismo, dal conformismo egemone degli avanguardisti. Fu lui a propiziare l’articolo sulla Pravda, Caos anziché musica, dopo il successo di Lady Macbeth».
Se ripensa a «La vita è bella»?
«Oggi mi rattristano polemiche inutili, come quella che accusa il film di falso storico: Auschwitz è stato liberato dai russi e non dagli americani! Certo, vero. Ma il lager del film è di fantasia, favolistico. Se ne accorge anche uno studente di liceo, non se n’è accorto uno storico di fama che va in tv».
E se va al suo passato remoto, prima dell’Oscar?
«Mi guadagnavo da vivere con la musica in qualunque modo, night club, cabaret, cresime. Ho fatto l’organista ai matrimoni. Mi viene in mente Bobby Solo, che era un incrocio tra Elvis Presley e Luciano Tajoli. Venivo dal ’68 che in me è rimasto sia nella parodia degli sberleffi alla borghesia che nelle conquiste vere sui diritti delle donne. Avevo partecipato all’occupazione di Filosofia. Io mi consideravo Bach (ma a 22 anni ci può stare), studiavo dodecafonia e la sera per poter studiare accompagnavo Bobby Solo al piano elettrico in Una lacrima sul viso. Lui, col suo ciuffo, era un simpaticone».
Ha avuto collaborazioni le più diverse, da «La notte di San Lorenzo» dei Taviani a «I 7 re di Roma» con i due Gigi, Magni e Proietti...
«Del film dei Taviani ricordo gli spettatori con gli occhi lucidi di commozione, per uno che fa arte è il premio più desiderabile. Di Gigi Proietti mi manca tutto, oltre l’artista che era. Tendeva a sottovalutarsi come musicista, aveva paura di volare alto, il numero sulla sauna allo stadio era solo la musica delle parole. Poi le sue telefonate notturne erano puro divertimento».