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 2022  giugno 16 Giovedì calendario

La Fed può battere l’inflazione

La scorsa settimana abbiamo avuto un altro rapporto negativo sull’inflazione. Negli ultimi dodici mesi l’inflazione ha superato l’8%, un livello che evoca la grande inflazione americana degli anni ‘60 e ‘70. Dal 1966 al 1981, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato in media di oltre il 7% all’anno, con un picco di più del 13 nel 1980. Nello stesso periodo si sono verificate anche due recessioni maggiori e due minori e un calo di circa due terzi del Dow Jones Industrial Average, depurato dall’inflazione. Rischiamo di ripetere quell’esperienza?
La risposta breve è: quasi certamente no.
Sebbene l’inflazione degli anni ‘60 e ‘70 abbia avuto picchi più elevati e sia durata molto più a lungo, ci sono alcune somiglianze con quella che stiamo sperimentando ora. L’inflazione di mezzo secolo fa, come quella di oggi, è iniziata dopo un lungo periodo di inflazione generalmente bassa. In entrambi i casi, la forte spesa federale (per la guerra in Vietnam e i programmi della Great Society negli anni ‘60, per la pandemia da Covid-19 nel 2020 e 2021) ha fatto aumentare la domanda. E l’improvviso rialzo dei prezzi globali dell’energia e dei generi alimentari negli anni ‘70 ha peggiorato notevolmente il problema, proprio come sta accadendo oggi.
Gli sforzi dell’attuale presidente della Fed, Jerome Powell, e dei suoi colleghi per ridurre l’inflazione godono di un notevole sostegno sia da parte della Casa Bianca che del Congresso, almeno finora. Di conseguenza, oggi la Fed ha l’indipendenza necessaria per prendere decisioni basate esclusivamente sui dati economici e sugli interessi a lungo termine dell’economia, e non su considerazioni politiche a breve termine.
Oggi, i responsabili della politica monetaria comprendono che, in attesa che i limiti dell’offerta vengano meno, cosa che prima o poi accadrà, la Fed può contribuire a ridurre l’inflazione rallentando la crescita della domanda. Facendo tesoro delle lezioni del passato, hanno capito anche che, facendo ciò che è necessario per tenere sotto controllo l’inflazione, possono aiutare l’economia e il mercato del lavoro a evitare un’instabilità futura molto più grave.
Le lezioni apprese durante la grande inflazione americana rendono altamente improbabile il ripetersi di quell’esperienza. Oggi la Fed riconosce di dover assumere il ruolo di guida nel controllo dell’inflazione e dispone degli strumenti e dell’indipendenza politica sufficienti per farlo. Dopo un ritardo, causato da un’errata valutazione dell’economia nel 2021, la Fed è quindi passata ad inasprire la politica monetaria, ponendo fine agli acquisti di obbligazioni dell’era della pandemia, annunciando piani di riduzione delle sue riserve di titoli e aumentando i tassi di interesse a breve termine.
I mercati e l’opinione pubblica sembrano comprendere che l’approccio della Fed è cambiato.
Sebbene quest’anno la Fed abbia alzato i tassi di interesse solo due volte, le condizioni finanziarie si sono già notevolmente inasprite perché i mercati prevedono che la campagna anti-inflazione continuerà. Sebbene gli indicatori di mercato e i sondaggi condotti tra i consumatori suggeriscano che per un anno o due ci si aspetta che l’inflazione rimanga elevata, per la maggior parte mostrano anche fiducia nel fatto che, sul lungo periodo, la Fed sia in grado di riportare l’inflazione vicino all’obiettivo del 2%.
Questa fiducia facilita il lavoro della Fed, limitando il rischio di una psicosi inflazionistica da parte dell’opinione pubblica. La maggiore indipendenza politica, la disponibilità ad assumersi la responsabilità dell’inflazione e il fatto di averla mantenuta bassa per quasi quattro decenni rendono la Fed di oggi molto più credibile rispetto alla sua controparte degli anni ‘60 e ‘70. La credibilità della Fed contribuirà a garantire che la grande inflazione non si ripeta e Powell e i suoi colleghi daranno la massima priorità al mantenimento di tale credibilità.