la Repubblica, 16 giugno 2022
Intervista a Charles Leclerc
Una capocchia di spillo con le rotelle sotto. Il casco giallo era così grande e lui così piccolo, che suo padre lo chiamò pins à roulettes. «È l’immagine che mi corrisponde e mi piace di più di me». Papà Hervé non c’è più, Charles Leclerc invece va veloce e punge al cuore con lo stesso ardore di quando era bambino. Ha una Ferrari per farlo.
«Voglio diventare campione del mondo, ci crederò finché non sarà matematicamente più possibile».
Sei pole in 8 gran premi ma 2 soli successi, ora è 3° dietro le Red Bull di Verstappen e Perez. Due ritiri nelle ultime 3 gare (Barcellona e Baku) per problemi di affidabilità, in mezzo la sua Montecarlo amarissima: da 1° a 4° per un pasticcio di strategie. Il suo motore è a Maranello: a Montreal ne monterà uno nuovo, da stabilire se avrà bisogno di un quarto turbo che gli costerebbe una penalità.
Ancora ottimista?
«Io non mollerò mai, questa è sempre stata la mia mentalità.
Voglio vincere, il Mondiale è lungo. Dobbiamo capire i problemi avuti, sono stati tre colpi duri. Momento non facile, però questo non cambia la mia motivazione».
L’affidabilità non la preoccupa?
«No, però serve tanta attenzione, i guasti li hanno avuti anche i team clienti. Ma ho fiducia in questa squadra e una volta risolti i problemi, passo e performance ci sono. Io ci credo. Sarò matto, ma ci credevo anche nelle due stagioni precedenti appena mettevo la visiera giù, anche se potevo puntare al massimo a un 10° posto.
Quest’anno ci siamo davvero, dobbiamo solo concentrarci su noi stessi e risolvere i guai al più presto. È un campionato importante, abbiamo una grossa opportunità di fare bene. C’è troppa positività quando le cose vanno bene e troppa negatività quando vanno male. Serve trovare un equilibrio».
Ha dormito dopo Monaco?
«Ce l’ho fatta, anche se faceva male. Ma già a Baku ho resettato e sono tornato molto in forma. Sarà così anche qui a Montreal».
Come si fa a recuperare da una delusione dopo l’illusione?
«Io so bene cosa vuol dire e cosa si sente quando si vince, è una delle poche cose che mi danno una felicità così grande. È questo che ogni mattina mi spinge ad allenarmi. Quest’anno avremmo dovuto avere più successi di quelli che abbiamo per i motivi che conosciamo, ma sono sicuro che è solo una questione di tempo per tornare dove vogliamo essere».
Serve più calma o mentalità vincente?
«Ognuno ha una sua maniera di arrivare alle cose. Per me sono fondamentali calma e concentrazione. E quando c’è un eccesso di emozioni è importante tornare nella propria bolla senza farsi perturbare e disturbare».
Ha qualcosa di speciale in qualifica?
«Non so, si può fare la differenza sulgiro secco, perché ogni errore che fai ti costa alla fine. Per adesso è andata bene, ho capito abbastanza la macchina. Ma io sono contento anche della gara che era un mio punto debole nel 2019, ci ho lavorato e penso di essere migliorato tanto».
Rispetto al suo compagno, Sainz, lei sembra aver più confidenza con la vettura.
«Non posso parlare per Carlos, io quest’anno mi sono preparato meglio rispetto al passato. Tanto simulatore e ai test prestagionali ho provato cose che forse non avevano senso ma non volevo trascurare niente ed essere il più pronto possibile per la prima gara, ci tenevo a essere dove sono e a dare tutto me stesso. Ha pagato.
Queste nuove macchine sono difficili da guidare e i dettagli per andare forti sono cambiati. Tutti i piloti hanno fatto degli errori e tocca a me farne il meno possibile.
Prendo dei rischi, come a Imola.
Anche quando non si vede. Credo sia l’approccio giusto e per ora sono contento».
Invidia qualcosa a Verstappen?
«No e credo che neanche lui invidi qualcosa di me. Siamo due piloti diversi, io mi concentro su me stesso per essere la miglioreversione di me, non sarò mai qualcun altro. Sono contento del mio sviluppo e continuerò a evolvermi».
Come ha perso l’aereo per Montreal?
«Lunedì sono tornato a casa. Il volo da Nizza a Parigi era in ritardo. Così
ho perso la coincidenza ma poi sono arrivato sano e in tempo».
È molto ordinato in pista, lo è anche nella vita privata?
«No, sono disordinato. L’ordine e la disciplina le riservo al motorsport».
Cosa scrive nei quaderni che legge durante le prove libere?
«Tutto: i miei feeling sulla macchina e le cose che voglio provare in pista. Mi vengono tante idee così me le appunto per non dimenticarle. E le scrivo a penna così sono certo di ritrovarle, prima usavo una app sul tablet che spesso mi cancellava tutto».
Ha doppiato un personaggio nel film della Disney Pixar, Lightyear – La vera storia di Buzz. Si sente un supereroe?
«No. Mi sento una persona normale, anche se faccio uno sport, non lo chiamo lavoro, molto speciale che non è da tutti. Sono solo fortunato».
Nel film c’è un bacio tra due donne che ha già creato polemiche, la sorprende?
«Per me l’omosessualità è una cosa completamente normale, ho amici gay, non capisco come oggi ci siano persone che non comprendono che l’amore è per tutti. La F1 deve dare una mano a chi non ha una voce così potente per esprimere le difficoltà nella vita di tutti i giorni».
Com’è lei nella quotidianità?
«Ho una routine: dieta, palestra, riposo. La disciplina è il cambiamento maggiore che ho fatto. In un anno così io voglio essere al 110% per 22 gare.
Arriveremo a 24? Sarò ancora più informa».
Le hanno dato tanti appellativi, predestinato, principe, in quale si riconosce?
«Sono tutti positivi e mi fanno molto piacere, ma quello che mi piace di più è quello che mi diede mio padre, pins à roulettes quando ho iniziato a correre, avevo 4-5 anni, ero tutto piccolo e si vedeva solo il casco grande».
Lei suona il piano. Se la F1 fosse un genere musicale, quale sarebbe?
«Un misto molto strano tra classica e rock and roll. Credo sia un esercizio di adattamento tra l’aggressività in qualifica e la dolcezza nella gestione gomme in gara. Suonare mi aiuta, lo facevo da piccolo, mio fratello Arthur è molto bravo, io ho ricominciato durante la pandemia riprendendomi il pianoforte che era da mia madre».
Non canta?
«Qualche volta sotto la doccia.
Stonato? Non so, è che non avrei il coraggio di farlo davanti a qualcuno. Povero Gabbiano cantata in Bahrain? Uno scherzo con alcuni del team. Preferisco inventare al piano, è una cosa che condivido con la mia fidanzata Charlotte che tra due mesi diventa architetto.
Come me, è molto creativa».
La creatività serve anche per fare il pilota?
«Servono velocità, precisione, concentrazione. E coraggio.
Prendiamo Gedda: pista molto veloce, muri vicini. Lì senti il rischio che stai prendendo ma devi andare e non pensarci, questo è quello che mi piace di questo sport. So che è pericoloso, ma a me piace giocare con i limiti».
Non ha mai avuto paura?
«No, mai, anche se riguardando gli incidenti mi dico che sono stato fortunato».
Cosa ha comprato col primo stipendio?
«Una Fiat 500 del 1969, bianco sporco, cabriolet. La doppietta?
Non ho avuto troppi problemi per guidarla. Poi sono andato in Indonesia a Bali con i miei migliori amici».
Lei ama la moda, a quando la sua prima linea di abbigliamento?
«Vorrei farlo in futuro, è una delle mie passioni, credo che la moda sia un mezzo per esprimersi senza parlare. Per ora mi accontento di indossare delle cose che mi piacciono. La mia testa è impegnata a cercare di vincere il Mondiale».
Già prenotate le vacanze estive?
«In Sardegna con i miei amici sulla mia barca Riva. Poi a Ibizacon la famiglia, ma resto concentrato: palestra e attrezzature a portata».
Ai Mondiali di calcio in Qatar per chi farà il tifo?
«Dal momento che non ci sono Monaco e Italia, la Francia».
Come si vede alla fine dell’anno?
«Campione del mondo e basta».