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 2022  giugno 15 Mercoledì calendario

In morte di una trans

Guardami. Io ci sono. Sono qui. Esisto. Io sto parlando, m’ascolti? Non vuoi sentirmi? Allora alzerò la voce. Non mi vuoi vedere? Allora diventerò sempre più appariscente. Sono rimasta velata per molto, troppo tempo. Ora basta. Voglio poter vivere i miei vissuti interiori e il mio corpo come desidero ora e come in futuro sentirò corrispondere al desiderio che emergerà. Voglio poter vivere ogni spazio, pubblico e privato, sentendomi a casa mia».
Invece Cloe Bianco non c’è più. È morta: si è uccisa. Cloe Bianco era un professore di fisica, insegnava all’istituto Mattei di San Donà di Piave. Un giorno, era il 2015, quando pensava ormai di poterselo permettere perché finalmente era stata assunta come insegnante di ruolo, aveva indossato gli abiti femminili, come avrebbe sempre desiderato. A Cloe Bianco alla nascita era stato infatti assegnato il genere maschile, corrispondente al suo sesso biologico, nel quale lei non si era mai riconosciuta. Vestita da donna quel giorno era entrata nella sua solita classe e aveva spiegato a quei ragazzi e quelle ragazze chi era, e perché non si sentiva un uomo e quindi non voleva somigliargli. E poi aveva ripreso a insegnare fisica, come aveva sempre fatto. Passata la sorpresa, per loro non avrebbe fatto nessuna differenza: erano solo abiti, una parrucca. Sarebbe rimasta il loro professore, quello che conoscevano, avrebbe insegnato loro le stesse cose. Ci avrebbero fatto presto l’abitudine. Ma Cloe aveva sottovalutato l’ignoranza. L’indignazione cieca di chi non capisce e quindi azzanna, respinge fuori dalla comunità chi non riconosce perché lo considera un pericolo: emargina. Già, la comunità… Quei padri e quella madri, scandalizzati, si erano armati contro di lei – le comari del paesino, direbbe De André – e si erano impegnati per renderle l’esistenza un inferno. Cloe Bianco era stata allontanata dall’insegnamento, spostata in ruoli di segreteria. Aveva fatto ricorso ma lo aveva perso. Umiliata, aveva lasciato il paese. Da sette mesi nessuno sapeva più niente di lei. Ieri si è uccisa. Bruciata, insieme al camper nel quale viveva.
«Oggi la mia libera morte, così tutto termina di ciò che mi riguarda. Subito dopo la pubblicazione di questo comunicato porrò in essere la mia autochiria, ancor più definibile come la mia libera morte. In quest’ultimo giorno ho festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono. Questa semplice festa della fine della mia vita è stata accompagnata dall’ascolto di buona musica nella mia piccola casa con le ruote, dove ora rimarrò. Ciò è il modo più aulico per vivere al meglio la mia vita e concluderla con lo stesso stile. Qui finisce tutto. Addio. Se mai qualcuna o qualcuno leggerà questo scritto».
Doveva aver rotto con i suoi familiari, perché nel suo testamento, pubblicato sul blog insieme a queste parole, non ne fa cenno. Chiede un funerale laico, con tanti fiori e la sua musica preferita: Bach, Albinoni, Brahms, Beethoven Antonella Ruggiero, Anna Oxa, Elisa, Donatella Rettore, Battiato, i Depeche Mode.
Vuole che nel vestirla venga rispettata la sua identità sessuale, vuole essere cremata e che le sue ceneri vengano gettate nel mare. Chissà se almeno da morta riuscirà a ottenere il rispetto delle sue volontà. Chissà se qualcuno si prenderà finalmente cura dei suoi desideri.
Cloe Bianco era una donna intelligente, quello che scriveva e il modo in cui lo faceva lo dimostrano. Aveva coscienza di sé, coraggio e generosità. Non è rimasta in silenzio, non si è nascosta. Ha provato a essere quello che voleva, e lo ha fatto, come era giusto fare, dentro una comunità, della quale pensava di fare parte. E invece no. È stata esclusa, scacciata. Dobbiamo fare attenzione, perché sta diventando frequente. Troppe persone restano fuori, tutte persone la cui solitudine rischia di trasformarsi in rabbia. Una democrazia prende forza dalla sua capacità di accogliere. Deve essere uno spazio sicuro per chiunque. Soltanto chi si sente accolto restituirà fiducia. Andrà a votare, studierà, lavorerà. Gli altri, all’angolo, diventeranno nemici. Di se stessi, o di chi li ha scacciati. «Una donna brutta – scriveva Cloe Bianco dal suo angolo – non può esprimere e vivere i propri desideri senza farsi troppi problemi, non può permettersi d’uscire di casa quando vuole, è meglio farlo quando si dà meno nell’occhio, non può permettersi di frequentare certi negozi, certi locali, certi eventi o certi posti, meglio recarsi dove si dà meno nell’occhio, non può permettersi di parlare di discorsi prettamente femminili, non devono fare al caso suo. Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra, in punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere».