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 2022  giugno 14 Martedì calendario

Umberto Eco e la sua biblioteca

Il nome della rosa innescò una reazione a catena e Umberto Eco venne travolto da un insolito benessere. Invece di organizzare cene eleganti, decise di far felice la sua pipa regalandole un tabacco di lusso, poi pensò di far felice se stesso creando in casa una biblioteca di rarità. La battezzò “Bibliotheca semiologica curiosa, lunatica, magica et pneumatica”.
Nello Studiolo, come chiamava lui lo spazio dei libri rari, non entrava il telefono, neppure il computer, però il flauto dolce era gradito ospite, Eco lo suonava quasi quotidianamente, dicono i familiari. Tra i libri trovavano posto i testicoli di cane in formalina, i bastoni da passeggio dell’ultimo periodo, le statuine colorate dei Peanuts: Eco era stato tra i primi collaboratori di Linus. Un tempo lo Studiolo si affacciava sulla torre del Castello Sforzesco, ora si affaccia su via Borgonuovo.
Il ministero della Cultura ha acquisito per 2,5 milioni i libri rari di Eco, circa 1.300, di cui 36 incunaboli. Il contenuto dello Studiolo è stato ricostruito all’interno della Braidense cercando di ricreare l’atmosfera originale. Possono visitarlo gli studiosi, precisa Marzia Pontone, nuova direttrice della biblioteca.
La composizione di volumi rari presenta tematiche costanti, ironicamente descritte così da Eco: “Una collezione dedicata al sapere occulto e al sapere falso. Ho Tolomeo, che si sbagliava sul moto della Terra, ma non ho Galileo, che aveva ragione”, scrisse in Non sperate di liberarvi dai libri.
Ci sono titoli che tutti i collezionisti vorrebbero avere come il mitico Hypnerotomachia Polifili stampato da Manuzio nel 1499, o il De civitate Dei di Agostino del 1470, il De Umbris Idearum di Giordano Bruno del 1582. Ma anche libri infami come il Malleus maleficarum del 1487, il manuale della caccia alle streghe scritto dai perfidi domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, che rappresentò lo strumento principale per inquisitori in cerca di donne da torturare e spedire nell’aldilà in modalità flambé.
Vi si trovano testi esoterici come il De arte cabalistica del Reuchlin, il De Mysteriis Aegyptiorum di Iamblico, tutti temi che poi entravano nei suoi libri come Il Pendolo di Foucault o Baudolino. L’esoterismo era un modo di conoscere e approfondire le false credenze, le scienze occulte, la demonologia, l’alchimia, i misteri che avevano dominato il Medioevo da lui tanto studiato e rappresentato.
Sono titoli di rilevante valore economico oltre che storico. Si potrebbe pensare: ma Eco non poteva andare in biblioteca a studiarli? Intanto bisogna precisare che ben trecento volumi dello Studiolo non sono presenti nelle biblioteche italiane e comunque le consultazioni di libri rari sono assai complicate. Eco amava le biblioteche e si divertiva a rovesciarne i valori: “La biblioteca deve scoraggiare la lettura incrociata di più libri perché provoca strabismo… Il bibliotecario deve considerare il lettore un nemico, un perdigiorno (se no sarebbe a lavorare), un ladro potenziale”, scriveva in De Bibliotheca. In questi giorni, i libri più importanti dello Studiolo sono esposti eccezionalmente al pubblico alla Braidense in una mostra che chiuderà il 6 luglio.
La parte restante della sua biblioteca, circa 40.000 volumi definiti “moderni”, ma ugualmente preziosi, sono andati in comodato alla biblioteca dell’Università di Bologna dove Eco ha insegnato per anni. Lì sono conservate e studiate anche le carte dell’archivio personale, lettere, manoscritti, pareri editoriali. Eco era stato a lungo collaboratore della Bompiani, e quando decise di pubblicare Il nome della rosavoleva passare a un altro editore, diverso da quello che accoglieva già la sua produzione saggistica e i suggerimenti culturali. Lo convinsero a rimanere le insistenze di Vittorio Di Giuro e Valentino Bompiani. “All’inizio si era pensato a una tiratura iniziale di 20.000 copie, ma le prenotazioni continuavano a crescere superando ogni previsione e decisi di partire con 80.000 copie”, mi racconta Di Giuro, allora direttore editoriale della Bompiani.
Senza il successo epocale del Nome della rosa forse lo Studiolo non sarebbe nato. E lui, come tutti i bibliofili non milionari, avrebbe continuato a sognare colpi incredibili presso vedove ingenue e sprovvedute, come ha raccontato nella Misteriosa fiamma della regina Loana: “Alla fine avevamo individuato dieci volumi che a venderli bene avremmo tirato fuori almeno cento milioni a dir poco. La Cronaca di Norimberga da sola poteva renderne minimo minimo cinquanta”. La Cronaca la ebbe ugualmente senza essere costretto a raggirare povere vedove sprovvedute.