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 2022  giugno 14 Martedì calendario

Accenti e schwa? Viva la democrazia

A proposito del SI senza accento nella scheda referendaria, Giuseppe Antonelli ha fatto notare su 7, nelle sue Lezioni di italiano, che l’ortografia non è una scienza esatta: il Vocabolario della Crusca, nel 1627, prescriveva l’accento (sul «sì» e anche sul «nò»), ma la voce in maiuscoletto riportata nel lemma era «SI» senza accento. In un paragrafo del bel libro La grammatica presa sul serio, appena uscito da Laterza, il linguista Raffaele Simone si chiede se gli errori sono davvero errori. Parlando di grammatica, l’ansia di sbagliare è sempre presente, ma a tutti può succedere di commettere strafalcioni più o meno gravi, specie se si pensa che gli errori sono tali solo in riferimento a una norma, una norma che per definizione non è immutabile, anzi «è soggetta a cambiare, come tutto nel mondo umano...». Per noi sarebbe errato dire «lo giorno» come diceva Dante Alighieri ed è corretto usare l’articolo «il»; e sarebbe sbagliato scrivere «passeggiero» con la i come scriveva Manzoni. Sarebbe altresì impensabile dire: «L’invitai di prendere la bottiglia» come dice Zeno nel romanzo di Svevo. D’altra parte, come si sa è la maggioranza dei parlanti che per forza propria impone la norma grammaticale e lessicale, accettando o respingendo le proposte di quelli che lo stesso Simone chiama influencer linguistici del momento. Basterebbe questo per ritenere superflua ogni discussione sullo (o sulla o sull*) schwa: come osserva Andrea De Benedetti nel suo recente pamphlet Così non schwa (pubblicato da Einaudi ), la soluzione del segno grafico «neutro» rivela una sorta di atteggiamento ricattatorio e al contempo elitista in nome di una presunta inclusività democratica. Ma soprattutto, lo (o la o l*?) schwa adottato da tutti per decreto politico-morale sarebbe banalmente un’imposizione antidemocratica a una maggioranza che ha tutto il diritto di far valere il proprio uso. Uso che si forma con ritmi e tempi propri prima nell’oralità (più progressista), passando poi alla lingua scritta (in genere più conservatrice, ad eccezione di certa letteratura che spinge verso l’innovazione o l’infrazione). Ben vengano i consigli e le raccomandazioni dall’alto (sui femminili «sindaca» o «ministra» non ci sono più dubbi), ma niente è più democratico dei cambiamenti linguistici. La comunità dei parlanti va (o semmai schwa) dove vuole.