la Repubblica, 14 giugno 2022
Parla Stefano Massini dopo la vittoria ai Tony
Prima reazione: «Un urlo che quasi non avevo più voce». Seconda reazione: «Un pianto a dirotto, io che non verso mai una lacrima. Ma proprio coi singhiozzi e mentre ci portavano dietro le quinte per le interviste. Non ero pronto al premio. Nei giorni scorsi tutti mi dicevano che il Tony per il miglior testo era praticamente impossibile, a un “foreign”, a uno straniero, non si è mai visto, mi dicevano». E invece Stefano Massini è il miglior autore teatrale al mondo con il suoThe Lehman Trilogy , cinque Tony Award tra cui quello del miglior testo, ed è una grande notizia, perché lo scrittore, fiorentino, 46 anni, ora è lì, dove sono stati Tennessee Williams, Eugene O’ Neill, Edward Albee, John Osborne, Harold Pinter... il gotha della drammaturgia mondiale.
Massini come ci sta?
«Con la pelle d’oca. Già entrare nel Radio City Music Hall stracolmo… Quando ho sentito “the winner is” io e Ben Power ci siamo abbracciati urlando. E da lì, non mi sono fermato, continuo a ricevere messaggi».
Di chi per esempio?
«Dal ministro della Cultura, dal presidente della Camera e tra i primi, già nel corso della notte, e inaspettato, sa quale messaggio è arrivato? Quello di Adriano Celentano e Claudia Mori: “Sei il più grande” . E poi attori, registi, editori da Glauco Mauri e Umberto Orsini a Pierfrancesco Favino, Ozpetek, Gifuni….».
Un trionfo. Arrivarci è stato una passeggiata?
«Un corno. Lehman l’ho scritto tra il 2010 e il 2011. A parte il successo in Francia dove nel 2013 ha avuto un premio, i primi anni, in Italia, sono stati un calvario. C’era chi mi diceva, testuali parole, “Che c...zo di roba, un italiano che invece di raccontare il Monte dei Paschi di Siena, si mette a rifare la storia di una banca americana”. Questa cosa è andata avanti a lungo. Ma due sono le cose che non dimenticherò mai di Lehman: questa serata dei Tony Award ovviamente, e l’altra è il mio maestro Luca Ronconi che già nel ‘13 mi disse, “la tua è un’opera bellissima e io ci farò qualcosa”. Ecco sono questi i due momenti più importanti che non dimenticherò mai. A distanza di due anni Luca fece il suo splendido spettacolo».
E con Sam Mendes come andò?
«Ero in bicicletta sotto un sole a picco, sull’Appennino. Era l’estate del 2017. Suona il cellulare, vedo un numero strano, rispondo e una vocemaschile mi dice “sono Sam Mendes”. E certo che ho pensato a uno scherzo. Invece mi racconta che per caso in aeroporto a Parigi, dovendo aspettare il suo volo, vede in libreriaThe Lehman Trilogy ,lo legge, ne è affascinato e mi dice che vuole metterlo in scena. A luglio del ‘18 sono a andato al National Theatre a vederlo passando nei corridoi con le immagini della Regina. Domenica Sam ed io siamo stati insieme tutta la sera. Non siamo di molte parole. Io gli voglio bene. Al ricevimento della produzione, durante la notte, mi ha detto: “Abbiamo fatto qualcosa di importante e non solo per noi”».
Scrittore per il teatro: perché ha scelto di diventare drammaturgo, una parola estranea per tanti?
«Per rispondere parto da Lehman. È un po’ romanzo, un po’ teatro un po’ ballata.È una drammaturgia strana.
Io penso che i generi artistici siano defunti. Il critico del New York Timesmi ha detto che Lehman è una vittoria che ci dice che la scrittura del teatro può essere diversa. Se sono diventato scrittore per il teatro è perché ho bisogno subito della reazione della gente al mio modo di scrivere».
Adesso però Lehman diventerà una serie tv?
«Sì, sarà anche un materiale cinetelevisivo, ma di queste cose se ne occupa Domenico Procacci che è come mio fratello».
Questo premio sveglierà dal torpore il teatro italiano?
«Me lo auguro. Nei mesi più duri del Covid, il teatro aveva smesso di esistere e il mondo senza teatri ci ha mostrato che era un mondo più brutto, perché il teatro è bellezza,è la coscienza critica della gente».
È vero che sta scrivendo un nuovo testo?
«Si intitolaManhattan Project , la storia della bomba atomica, dai primi studi sull’atomo a Hiroshima e sarà sulla stessa linea narrativa di Lehman, storia di uomini e donne.
Sarà pubblicato da Einaudi. È già venduto in Germania, Spagna, Francia e in Usa c’è un progetto enorme con un gigante della scena internazionale, di cui non posso ancora fare il nome».
Arriverà in Italia oggi pomeriggio: come si riposa?
«Riposo? Giovedì sono al Piccolo di Milano al festival dedicato a Giorgio Gaber, con una mia incursione nel suo mondo, Quando sarò capace di amare .Sarà anche la mia festa. Bello che sia nel nome di Gaber».