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 2022  giugno 13 Lunedì calendario

Intervista a Sandokan

CAGLIARI – Sandokan per sempre. Dietro gli occhiali trasparenti lo sguardo fiero è addolcito dall’età, la chioma corvina attraversata da frezze bianche. Sono belli i 76 anni di Kabir Bedi, che ha da poco consegnato il suo libro di memorie Storie da raccontare e al Filming Italy Sardegna è in compagnia della giovane moglie Parveen, la quarta, con cui scambia sguardi complici e frasi rapide in indiano, lei lo riprende con il cellulare. Il 31 agosto sono centosessant’anni dalla nascita di Emilio Salgari e malgrado una carriera costruita anche a Bollywood e Hollywood l’attore sa che tutto deve all’autore veronese e allo sceneggiato culto firmatoda Sergio Sollima nel 1976.
Com’è stato entrare nel mondo di Salgari?
«Straordinario. Ha creato avventure in India, Asia, Africa. Non c’è limite all’immaginazione di quest’uomo che non ha mai lasciato l’Italia, però ha consegnato una grande eredità di storie per generazioni di italiani. Ha trasformato la mia vita: il successo di Sandokan mi ha aperto le porte dell’Italia e del cinema occidentale».
Come riuscì ad avere il ruolo?
«Mi dissero “vieni a fare il provino, il viaggio in Italia è a spese tue”. Ebbi l’abilità di riconoscere l’opportunità, senza farmi accecare dall’ego. Mi son pagato il viaggio, ho fatto prove a cavallo, con le spade, in acqua, il trucco, scene d’amore. Non avevo letto libri di Salgari, non erano tradotti in inglese. Sollima mi aveva spiegato, ma non bastava. Chiedevo a ogni italiano “che rappresentano Salgari e Sandokan per te?”. Le risposte mi hanno dato un’idea vera».
La miniserie fu fenomeno di ascolti, costume e merchandising.
«Ancora oggi mi fermano, ognuno ha la sua storia e i suoi ricordi, i costumi di Marianna e Sandokan, le figurine.
Lo videro in 27 milioni. Ognuno voleva un pezzo di me, per strada mitoglievano la camicia, mi abbracciavano. Ero orgoglioso, ma non narcisista. Il merito era condiviso con Sollima, la troupe, i colleghi».
Con chi rimase amico?
«Adolfo Celi, l’antagonista Lord Brook. Mangiavamo in posti incredibili, mi raccontava la sua vita, la carriera in Brasile, Bond. Anni dopo ci siamo incontrati per caso a mezzanotte in Piazza San Marco a Venezia. Ci siamo abbracciati: “Sandokan” “Brook!”. È stata l’ultima volta che l’ho visto».
Cosa successe dopo Sandokan?
«Non ricevevo offerte. Ero stupito, un regista mi spiegò “facciamo commedie, drammi sociali, tu sei Sandokan...”. Ho dimostrato che potevo essere altro, sono fiero delCorsaro nero.Ho fatto Bond, serie in America, kolossal a Bollywood.... Da voi sono tornato con L’isola dei famosi,il pubblico ha conosciuto il vero Kabir, pregi e debolezze. Perstrada mi cercano con più calore. Mi chiamano sempre Sandokan, ma è un complimento, ogni attore vuole un ruolo indimenticabile. Il miracolo di Sandokan è l’affetto che continua».
Cosa ha dato lei a Sandokan?
«Ho capito le sue emozioni quando lottava contro gli inglesi, i mieigenitori hanno sacrificato molto per la causa dell’indipendenza indiana.
Ho fatto vedere la serie ai miei figli: parla anche della nostra famiglia. Mio padre ha sposato una donna inglese, come Marianna. Si sono laureati a Oxford, tornati in India per battersi.
Poi mio padre è diventato un filosofo in Italia, mia madre monaca buddista, il loro rapporto è continuato in modo spirituale».
La spiritualità ha aiutato anche lei a superare tragedie e dolori.
«Ho attraversato grandi crisi e le ho superate. Nel libro c’è la storia dietro Sandokan, che nessuno sa. A Hollywood e Bollywood parlano dei quattro matrimoni e dei tre divorzi ma non conoscono quel che è successo, come sia rimasto amico delle mie ex. Ho grande rispetto per le donne e ho trovato l’amore che cercavo con mia moglie, con me da 16 anni».
Ci sarà una serie su Sandokan con Can Yaman.
«Ogni generazione dovrebbe avere il suo Sandokan, con nuovi attori, tecnologia, musica. Salgari è un tesoro italiano di storie e spero ne facciano tante. Al cinema e in tv».
Un consiglio a Can Yaman?
«Di partire dal cuore, non dalla mente. Sandokan non è un calcolatore come Yanez o Lord Brook. È mosso dall’intensità delle cose in cui crede. Questa è la cosa più importante».