il Giornale, 13 giugno 2022
Conclave, altro che dimissioni
Forse neanche la fantasia di Dan Brown arriverebbe a tanto. Immaginare, cioè, una Roma con tre papi, due emeriti (Benedetto e Francesco) e una santità ics regnante. È bastato che i fantavaticanisti mettessero insieme un po’ di indizi per rilanciare il tormentone della rinuncia di Bergoglio al soglio pontificio.
Due in particolare. Lo stesso Francesco costretto a muoversi su una sedia a rotelle a causa di un ginocchio malandato. E poi la visita all’Aquila di fine agosto, per la Perdonanza di Celestino V, laddove nel 2009 Benedetto XVI depose il suo pallio, la stola pontificia che indossava, sulla tomba del papa che fece il “gran rifiuto”. Un gesto interpretato, in maniera postuma, come un segno profetico delle clamorose dimissioni di quattro anni dopo, nel 2013. In realtà le indiscrezioni su rinuncia e successione non fanno altro che indispettire, diciamo così, Francesco. Meno di un anno fa, ecco che cosa confidò ai suoi confratelli gesuiti nel viaggio in Slovacchia: “Sono ancora vivo nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene”.
In realtà, anziché soffermarsi stoltamente sul dito della rinuncia, bisognerebbe guardare la luna del riformismo bergogliano. Nonostante la mobilità ridotta, la scorsa settimana è entrata in vigore la nuova Costituzione apostolica, la Praedicate Evangelium, e ad agosto poi ci sarà il Concistoro che modificherà ulteriormente, in senso evangelico e universale –non clericale e dottrinale – il Collegio dei cardinali elettori. I cardinali che dal 27 agosto potranno entrare in Conclave salgono a 132, di cui ben 83 creati da Francesco, a fronte degli 11 di San Giovanni Paolo II e i 38 di Benedetto XVI. Molte sono state le riflessioni su questo collegio che ormai rappresenta tutte le “periferie” del mondo, ma uno dei dati più interessanti riguarda la “formazione” dell’Italia.
Nel quadro di un’Europa ancora maggioranza relativa, i cardinali italiani restano il gruppo più numeroso: 21 (senza tenere conto di Becciu, “spogliato” delle sue prerogative da Francesco per l’affare del palazzo londinese). La svolta radicale avverrà tra l’autunno di quest’anno e quello del 2023: ben sette cardinali nominati da Raztinger e Wojtyla “usciranno” dal collegio degli elettori perché compiranno 80 anni (il limite posto da Paolo VI che esclude dal Conclave). Si tratta di Bertello, Ravasi, Bagnasco, Calcagno, Sepe, Versaldi, Comastri. Ne resteranno tre del passato (Piacenza, Filoni e Betori) mentre i rimanenti 11 sono “francescani”: Zenari, Semeraro, Montenegro, Petrocchi, De Donatis, Parolin, Zuppi, Lojudice, Gambetti e le neoporpore Marengo e Cantoni.
È una composizione che sancisce la fine della divisione tra clericali e progressisti italiani e che tanto peso ha avuto negli ultimi due Conclavi. Nonché il tramonto di una Chiesa ossessionata dai rapporti con la politica e da un’impostazione rigidamente dottrinale (da Ruini fino al disastroso Bertone, premier vaticano che “commissariò” la Cei). In quasi dieci anni di pontificato, la rivoluzione di Francesco c’è stata, lenta ma inesorabile. Soprattutto in Italia.