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 2022  giugno 13 Lunedì calendario

Il caso del viaggio dei leghisti a Mosca pagato dei russi

Cinque giorni a rotta di collo. Con i biglietti aerei già pagati dai russi, un piano per la pace scritto in totale autonomia dal governo e già vidimato dall’ambasciata, e un viaggio per Mosca preparato senza dire nulla neanche ai dirigenti leghisti, che lentamente naufraga fra le polemiche. Cinque giorni in cui si decide il destino di Salvini ambasciatore solitario, e forse anche quello del Salvini leader. Tutto accade tra il 26 e il 31 maggio. Ricostruiamo, sulla base di informazioni confermate da fonti vicine al segretario, tutti i passaggi di una vicenda che sta scuotendo maggioranza e governo.
La data fino alla quale far scorrere il rewind è in realtà il 19 maggio. In Parlamento ci sono le comunicazioni di Draghi sulla guerra. Salvini, nel suo intervento, dice no all’invio di nuove armi in Ucraina («Io non ci sto») e fa due richieste a Draghi. Primo: «Provi a chiedere a Mosca di ritirare la candidatura per Expo e di darla a Odessa». Secondo: «Chieda lei lo sblocco delle navi con i carichi di grano». Il consulente Antonio Capuano racconterà a Repubblica che non è casuale il fatto che Putin, qualche giorno dopo, darà segnali positivi su questi due fronti: «Io e Matteo ne avevano parlato in ambasciata. Anzi i russi ci avevano detto che su questo punto (lo sblocco delle navi con il grano) potevamo spingere». Di certo, nella stessa giornata del 19 il leader della Lega torna con Capuano nella sede dell’ambasciata russa. Parla probabilmente di un clima complessivo migliorato (sempre a Palazzo Madama il capo del Carroccio aveva ringraziato Draghi per le «parole di pace» spese a Washington) e imprime un’accelerazione alla sua personale azione diplomatica. Si mette mano al piano per la pace da presentare al governo russo e, di lì a poco, si fissa la data per il viaggio a Mosca: il giorno prescelto è il 29 maggio.
Il 26 maggio l’ambasciata acquistai biglietti aerei per la capitale russa. Secondo la versione della portavoce della sede diplomatica, si è trattato di «un’assistenza tecnica», per le difficoltà da parte di Salvini e dei suoi accompagnatori (la delegazione era composta da tre persone) di pagare in rubli. Versione che ieri il senatore milanese ha ovviamente confermato. In un primo momento, l’ambasciata aveva detto che Salvini ha poi coperto le spese «in quanto il viaggio non è avvenuto». Salvo correggersi, dopo un intervento dello staff del leader leghista: «Il partito avrebbe saldato in ogni caso». Di certo, Salvini e chi lo assiste non si pongono un problema di opportunità nel farsi pagare il viaggio (anche solo come anticipo) da un Paese sottoposto a sanzioni dal blocco occidentale in quanto ritenuto colpevole di un’aggressione a uno Stato sovrano.
Il 27 maggio gli uffici della Lega scrivono all’ambasciata annunciando – questa la versione salviniana – la volontà di corrispondere quanto pagato dai russi e chiedendo di quantificare i costi. Ma tutto – sempre secondo questa versione – si sarebbe fermato per la pausa del week-end. Lo stesso 27 maggio, un venerdì, si diffonde però la notizia dell’imminente partenza. Scoppia una bufera politica su una missione non concordata con il governo. I dirigenti della stessa Lega – con il responsabile Esteri Lorenzo Fontana in testa – cadono dalle nuvole e chiedono conto al segretario dell’iniziativa. La missione abortisce il 28 maggio, mentre si leva la voce di Capuano: «Del piano di pace a Mosca eravamo informati tutti. Mica avremmo incontrato le quarte linee... Salvini è stato massacrato ingiustamente». Il 30 maggio l’ambasciata dà il via libera al rimborso della spesa. E gli uffici della Lega, nelle ore successive, fanno il bonifico. L’unica certezza è che, per cinque giorni, il discusso – e naufragato – viaggio di Salvini in Russia è stato “coperto” da un contributo russo.