il Giornale, 13 giugno 2022
Fabio Liberatori, che mette in musica i film di Verdone
Il Rito. Sempre lo stesso, irrinunciabile. “Ci acquattavamo all’uscita dalle sale, a volte addirittura nei cespugli, se ce n’erano”, ride Fabio Liberatori. “Io, Carlo, Christian De Sica. Ascoltavamo i commenti degli spettatori. Se erano lusinghieri tornavamo a respirare”. Scene mai girate, queste, senza battute e avvolte nella suspense. Il regista, l’attore-amico del cuore, l’autore della colonna sonora nascosti come tre malintenzionati per capire se il lavoro era stato apprezzato. Accadde pure dopo la prima di Acqua e sapone, che doveva riconfermare il grande successo di Borotalco. “Che arrivò, anche se alcuni lo valutarono un episodio minore della mia filmografia. La protagonista era questa ragazza, Natasha Hovey, che avevo visto per strada ed era venuta a sostenere un provino accompagnata dalla madre”, racconta Verdone. “Mi aveva convinto per la sua fotogenia così delicata, non aggressiva. Non l’ho praticamente più vista, dopo. Natasha decise di lasciare il cinema per andare a vivere in Francia. Forse oggi è a Miami”. Anche in quel caso era Liberatori a firmare il soundtrack, ora finalmente disponibile in vinile e cd. “C’è una richiesta pazzesca da parte degli appassionati”, rivela il musicista, “per la pubblicazione delle musiche dei classici verdoniani. Mi scrivono: chiudiamo gli occhi ed è come rivedere la pellicola. Io ho lavorato 14 volte con lui, compresa la prima stagione della serie Vita da Carlo”. Anticipa Verdone: “La seconda è in fase di scrittura, vedremo. Quanto a Liberatori, ho sempre apprezzato il suo modo di comporre: è un artista gentile, di gran talento, che condivide con me un pizzico di malinconia. Per Acqua e Sapone gli chiesi sonorità che non suggerissero una passionalità scopertamente sessuale. Doveva venire alla luce la tenerezza dell’attrazione che il mio personaggio nutriva per la Hovey. Così fece: e accolse con puntualità i miei suggerimenti per immortalare con le tastiere il suono elettronico, allora così rivoluzionario, degli anni 80. Ascoltammo insieme i Depeche Mode, i Simple Minds. Fabio trovò la quadra”.
Con un gustoso giallo per il brano-chiave che, attenzione, non era firmato da Liberatori. “Dopo la fine del lavoro sul set mi fu consegnato il 45 giri con i due pezzi eseguiti dagli Stadio”, spiega Verdone. “Fabio, all’epoca loro tastierista, era autore del brano sul lato B, C’è, con il testo di Luca Carboni. Ma ero convinto che il pezzo portante, Acqua e Sapone, fosse solo farina del sacco di Gaetano Curreri, mentre le liriche erano di Vasco Rossi! Ringraziai Vasco, persona generosa e mai burbera, sei anni più tardi, affidandogli la colonna sonora di Stasera a casa di Alice”. “L’avesse scoperto in tempo utile, Carlo si sarebbe preoccupato”, lo punzecchia Liberatori, “vista l’indole molto rock, esplicita, dei racconti di Vasco”. Che era stato uno dei due grandi ispiratori esterni degli Stadio.
L’altro, più possessivo, era Lucio Dalla. Sottolinea Fabio: “Curreri e Vasco erano amici d’infanzia, ma molto presto l’ago della bilancia si spostò verso Lucio. Con il quale ebbi la fortuna di lavorare in alcuni suoi album epocali, vedi Anidride Solforosa, che ti lascia a bocca aperta. In Come è profondo il mare il fischio all’inizio del brano, così cinematografico, è un effetto sinusoidale, decisamente ‘umano’, del mio mini-Moog: ero stato tra i primi a usarlo in Italia, me l’ero fatto trasportare per tutta Europa, in auto. Dalla era un genio, partoriva idee che parevano bislacche, ma funzionavano. Se pretendeva che l’eco di una chitarra andasse registrato in bagno, perché lì c’era un riverbero ideale, ti chiedevi se stesse prendendoti in giro. Salvo accorgerti, dopo, che era esattamente come se lo era immaginato lui. Il che non toglie che Lucio fosse un formidabile burlone. Si metteva d’accordo con i tecnici e faceva togliere suoni agli strumenti: noi impazzivamo per individuare la fonte del misterioso guasto. Oppure organizzava telefonate fantasma: correvi a rispondere e non c’era nessuno”.
IL VIDEO – Buonanotte anima mia, dieci anni senza Lucio
Liberatori ebbe il privilegio di condividere con Dalla, De Gregori e Ron il palco del memorabile tour del ‘79, Banana Republic, il restart sociale dopo il climax del terrorismo in Italia. “In ogni stadio c’erano decine di migliaia di persone desiderose di stare insieme, un po’ come oggi. Prima dei concerti non c’erano liturgie scaramantiche, se escludiamo il bicchiere di rosso frizzantino, sempre lo stesso, con cui Lucio brindava. Io e Curreri, a quel punto, eravamo già sugli scalini che ci portavano in scena, ansiosi di scoprire se caldo e umidità avessero scordato le nostre tastiere, soprattutto quelle elettroniche. Non c’era la tecnologia odierna, né i trucchi computerizzati dei live del 2022. Ogni sera era una rocambolesca avventura”.