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 2022  giugno 13 Lunedì calendario

A Odessa c’è chi si fa il bagno tra le mine: «Meglio morire di piacere, saltando in aria, che di caldo»

ODESSA – Nella città dov’è stata composta O sole mio, è arduo resistere al mare. E Helena Federman non ha resistito. Ha preso la rincorsa e si è buttata tra le onde col figlio Jaroslav e il marito Oleg. «Meglio morire di piacere, saltando su una mina, che di caldo», ci dice mostrandoci il costume grondante come fosse un trofeo di guerra. È euforica. «Al diavolo le mine, la guerra, i russi, mica siamo schiavi!», grida, ridendo a crepapelle. Poi si fa fotografare col figlio tra gli sguardi esilarati dei passanti. E non smette di sorridere neanche quando i due poliziotti che l’hanno pescata in acqua e stanno scortando tutta la famiglia al commissariato ci fanno cenno che devono portarli via. Un ultimo saluto in italiano, “ciao”, e Helena, Oleg e Jaroslav si allontanano sulla strada che costeggia uno degli stabilimenti balneari più famosi di Odessa, Lanzheron. Helena è nata e cresciuta nel porto di Odessa, ha fatto in tempo a dirci. E gli odessiti, scriveva Konstantin Paustovskij quasi un secolo fa, sono «audaci», ma soprattutto «pazzamente innamorati del loro Mar Nero». Cambiamo stabilimento, vogliamo capire come una città che campava di turismo stia vivendo la stagione della guerra, il divieto assoluto di balneazione, la chiusura degli stabilimenti, la sparizione degli stranieri, lo spettro delle mine. Anche in questa appiccicosa e calda domenica di giugno che invita letteralmente a buttarsi tra i flutti, la guerra è onnipresente. Tutti citano un video terribile che ha fatto il giro dei social media, è di fonte russa ma ci credono tutti. Un filmato in cui un uomo salta su una mina, a pochi metri dalla riva. «È terribile. Non le posso confermare che sia vero. Ma speriamo sia un deterrente», ci dice la ventiquattrenne Natalia, guardia costiera originaria di Donetsk. E proprio mentre ci sta spiegando che anche le spiagge sono off limits,alle sue spalle un signore guadagna a grandi falcate la battigia, si immerge in mare e esce con aria furtiva.
L’ amour fou degli odessiti per il mare è stroncato dai divieti: le spiagge sono quasi tutte vuote. Ma c’è chisembra sordo a ogni avvertimento, alle voci che sostengono che anche la sabbia sia minata.
Appena fuori città, su una piccola spiaggia, due famiglie si abbronzano al sole. Ed è impossibile che abbiano ignorato il nastro bianco e rosso, i cartelli con i teschi, i sacchi di sabbia lungo la strada. Seduto a un bar, Dmitri Franchuk sorseggia una birra e si rilassa dalla trincea. Un enorme drago tatuato si arrampica sul suo braccio destro, ideogrammi giapponesi gli ricoprono le spalle. «Sono un soldato, vengo dal Nord. Ma ho chiesto subito di essere spostato qua. Perché Odessa è ucraina e la dobbiamo difendere con tutte le nostre forze».
Torniamo verso il centro. Sulla terrazza di cemento di fronte al Delfinario una famiglia armata di frittata e cetrioli, un paio di pescatori improvvisati e varie coppie di amanti prendono il sole sugli asciugamani appoggiati sull’asfalto rovente. Ogni tanto qualcuno si affaccia sulle scalette che portano in acqua, scavalcando il nastro bianco e rosso del divieto, si immerge ed esce. È un mare inquietante, svuotato di uomini e barche, che pullula di mine invisibili. Un mare morto.
Accanto al Delfinario, in uno dei ristoranti più famosi in città, Terrace, i camerieri si muovono lesti tra i tavoli e i grandi divani bianchi semivuoti. La manager del ristorante, Aleksandra Titarenko ci racconta che a causa della guerra la stagione è cominciata con un mese di ritardo, a maggio. E che «normalmente d’estate bisogna prenotare di lunedì per trovare ancora un tavolo nel fine settimana. Qui di solito pullula di turisti russi, kazaki, tedeschi, francesi, italiani». Tante ragazze sono andate via a causa della guerra, «ma nessuno è stato licenziato. Anzi, la proprietaria Mariana Zhosan ha pubblicato un video in cui ha promesso di proteggere i lavoratori, anche se il fatturato è crollato». Anche Aleksandra è stata all’estero, è fuggita all’inizio della guerra a Budapest. Poi è tornata a Odessa. Le chiediamo il perché. «Perché sono nata qui. E perché a Budapest non c’è il mare».