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 2022  giugno 12 Domenica calendario

Biografia di Nicolò Martinenghi raccontata da lui stesso

C’è un azzurro che affiora dall’acqua e «cala la maschera». È così che il ranista Nicolò Martinenghi definisce il suo approccio ai Mondiali erranti, quelli spostati da Fukuoka perché il Giappone non si sentiva pronto e riposizionati a Budapest, come bonus. Una sorta di competizione omaggio che in tanti non sanno valutare e invece Martinenghi affronta come una sfida d’altri tempi. Cappa e spada, duelli d’onore e una maschera immaginaria che gli cala sul volto quando cambia il ritmo, quando punta al successo. Lui è uscito presto allo scoperto nel mondo del nuoto con risultati giovanili eclatanti e tempi che ha dovuto imparare a gestire. Ha vissuto stagioni di mezzo, poi è tornato ad alti livelli ed è salito su due podi olimpici, con due bronzi che si portano dietro più promesse che soddisfazioni. Come se avessero definito un orizzonte e questo fosse il momento giusto per andarselo a prendere.
I Mondiali in Ungheria iniziano il 18 giugno e non c’è Adam Peaty, il padrone della sua specialità che ha monopolizzato il primo posto dal 2015 a oggi. Quando è stata l’ultima gara senza di lui?
«A me non è mai capitato di gareggiare senza Peaty e non mi ha mai pesato stare in gara con lui».
Pure se non è mai stato battibile in tutti questi anni?
«Quindi questa sarebbe la mia occasione, mah... il problema è che quella del vincitore era una casella tabù per tanti e quindi il suo posto bisogna contenderselo. Ci saranno tante motivazioni extra. E poi io preferivo che ci fosse, senza non sembra un Mondiale vero».
Non se lo godrebbe?
«Certo che sì e intendo farlo. Ho un tempo prefissato in testa e con quello sul podio si dovrebbe proprio andare e diciamo non solo. A meno che in acqua non si scatenino tutti oltre le previsioni proprio per dare l’assalto alla gara che prima sembrava già decisa».
Lei è emerso da sedicenne, come predestinato poi si è ritrovato a rincorrere le aspettative.
«Ho vissuto una fase di assestamento che è combaciata pure con un brutto infortunio: 9 mesi fuori dall’acqua ti segnano. Al rientro ho faticato come un pazzo per ritovare il livello e sapevo di valere, eppure in gara il potenziale non usciva mai. Frustrante».
Come ne è uscito?
«Con un risultato eclatante alle qualificazioni per i Mondiali del 2019. Primo italiano a scendere sotto i 59 secondi nei 100 rana. La serenità l’ho trovata in acqua ed è davvero incredibile come lo sport sia sempre una sequenza di eventi o tutti negativi o tutti positivi. Un cronometro andato dritto e insieme con la piastra ho toccato maturità, consapevolezza, soprattutto mi sono portato a casa la determinazione per fare una vita più consona a un professionista».
Prima non la faceva?
«Non abbastanza. Alla fine del 2018 ho iniziato a chiedermi. "Ok Tete, dove vuoi andare? Chi vuoi essere?».
Risposta?
«La persona che sono oggi. Uno che sa di avere qualcosa di speciale e vuole vedere fino a dove si può arrivare. Concentrato su questo e non indifferente alle cose importanti della vita».
Benedetta Pilato, anche lei giovanissima, anche ranista, anche lei talento evidente e addirittura subito a podio ai mondiali. Sta passando una fase come la sua dopo i primi successi?
«È partita da più in alto e a me sembra che lei subisca meno gli scossoni. Abbiamo un ottimo rapporto, la vedo solida. Forse le Olimpiadi erano ancora formato gigante ma può ripartire alla grande fin dall’estate».
Le dia un consiglio.
«Deve riuscire a capire con chi vuole lavorare, scegliere le persone di cui circondarsi perché solo così stabilisci l’assetto zen necessario. Spesso abbiamo intorno persone che fanno azioni di disturbo».
Lei ha allontanato qualcuno dalla sua cerchia?
«Mi sono autoallontanato da chi mi disorientava. E sono stato fortunato perché gli amici, quelli veri, quelli che scegli, mi hanno aiutato molto».
In nazionale ha degli amici veri?
«Non ho nemici. Ora c è un gruppo bellissimo, travolgente».
Prima?
«Prima ero più giovane e ci sono state le differenti fasi. Quando guardi la nazionale da fuori, entrarci è tipo un sogno e quasi non ti rendi conto di quello che fai. Poi perdi l’estasi iniziale e certe situazioni sembrano quasi un peso. Ora la mia esperienza mi porta a vivere l’ambiente al meglio. La mia generazione riesce a fare da traino senza sentirne il peso morale».
Insomma, i campioni di prima facevano pesare di più il ruolo?
«C’erano poche figure di riferimento e avevano tante attenzioni addosso, adesso c è un gruppo che si fa notare in acqua ed è coeso fuori. Chi entra nel giro azzurro in questo momento probabilmente non avverte più la figura dei senatori».
Senza Federica Pellegrini il nuoto si vede di meno?
«Non ha proprio lasciato una qualsiasi. I conti con il vuoto bisogna farli. Prima si partiva da lei, dalle sue gare, da lei al centro. Dai suoi risultati. Ci ha lasciato un testimone bello pesante. Comunque c’è Paltrinieri. Mandiamo avanti lui».
Lei invece riparte da due podi olimpici. Bronzo nei 100 rana e in una staffetta mista che ha conquistato pure il pubblico.
«Ecco, io sti risultati purtroppo li ho un po’ visti passare via, prima la gran rincorsa, il Covid che ferma tutto, il bisogno di restare concentrati e dopo il calendario si è riempito di eventi. Se mi guardo indietro, quei podi me li sono un po’ dimenticati».
Ma come? Erano impronte nell’estate azzurra. Cosa si è tenuto di quella scia di vittorie italiane?
«Il giorno dell’oro di Tamberi e Jacobs. Tutti noi azzurri eravamo a casa Italia e abbiamo tifato, esultato, ci siamo commossi. Forse solo li ho pensato, "cavolo in queste Olimpiadi l’Italia ha fatto la storia e il mio piccolo segno l’ho lasciato anche io". Nell’estate azzurra c’è anche una minima parte del mio Dna».
Anche lei ha patito il trauma post olimpico? Tanti suoi colleghi raccontano di una vera nausea da piscina.
«So di aver scelto uno sport monotono, ma non lascio che la noia prenda spazio. Se la sento salire penso bene a quello che prove e so che un giorno tutto questo mi mancherà. Quindi non lo devo sprecare».
Phelps dice che la vostra routine porta facilmente alla depressione.
«Capisco il concetto. Lui si è messo una pressione indicibile addosso. Io non ho fatto neanche un millesimo di quello che è riuscito a lui quindi ci sta che sia meno ossessionato. Mettiamola così».
Smonti i grandi campioni e rimonti la rana perfetta.
«Cavoli. Sto a una rana contemporanea. Tanto di Kitajima, però pure van der Burgh, Peaty, per forza, e io ci metto qualcosa di Fabio Scozzoli, che ha raccolto meno di quel che meritava e mi tengo qualcosina di mio».
Che cosa?
«Tecnicamente la rana è ruffiana, non ci sono due nuotatori con lo stesso stile quindi pure dire chi fa meglio che cosa è piuttosto arbitrario. Io so cambiare ritmo. Calo la maschera e mi trasformo. La fase di assestamento è finita quando ho capito come maneggiare questa capacità. Spero di perfezionare il concetto».
Ha allenato la testa?
«Primo mental coach a 12 anni. Lo ho abbandonato e ne ho ripreso un altro quando ho fatto più fatica. Ora penso di avere un metodo e lo gestisco da solo o con Marco Pedoja, il mio tecnico».
Sempre lo stesso.
«Sono dodici anni che stiamo insieme. Marco aveva un anno più della mia età di oggi quando abbiamo iniziato: 24 anni. Evidentemente il rapporto è cambiato nel tempo. Era un fratello maggiore, oggi più una guida».
Che fa nel tempo libero?
«Grandi classici. Non vorrei sembrare poco brillante ma amici, svago, shopping e moda. Mi piace prendermi cura di come mi vesto, un po’ come tutti oggi, su».
Segue degli influencer?
«Curioso sui vari social, magari qualche spunto lo prendo pure, anche se non ho punti di riferimento da cui copiare costantemente».
Due campioni con cui vorrebbe confrontarsi.
«Michael Jordan, basta il nome, e Valentino Rossi che vinceva a 16 anni ed era leader a 40. Sempre con avversari diversi intorno, sempre con delle motivazioni. Avrei parecchie domande da fare. Sono orgoglioso del fatto che sia italiano, lo considero una bandiera del nostro sport».
Fidanzato?
«Sì, ormai stabilmente da quattro anni».
In nazionale: azzurri giovani, di successo e tutti accoppiati.
«Lo so, non ci sono più i ventenni di una volta».