Specchio, 12 giugno 2022
il flop dei gadget con la "Z"
La guerra in Ucraina ha avuto un impatto anche sull’abbigliamento: mentre a Kyiv ormai mezzo governo veste t-shirt, polo e felpe color verde palude, imitando la moda in stile militare inaugurata da Volodymyr Zelensky, a Mosca i siti di e-commerce straripano di magliette patriottiche. La Z simbolo della “operazione militare speciale” è la più popolare, ma i produttori offrono anche t-shirt con la V, l’altro simbolo disegnato sui carri armati russi nel Donbass, e slogan di vario genere, dal “Non molliamo i nostri” che allude al presunto salvataggio degli ucraini dalla Nato, al polemico “Noi non ci vergogniamo”, risposta a chi sosteneva che la Russia doveva provare sensi di colpa e chiedere scusa agli ucraini per le bombe sulle case e i massacri dei civili a Bucha e in altre città ucraine. Le Z-shirt sono diventate anche un indicatore per mappare il sostegno alla guerra: a Mosca e a Pietroburgo la domanda di simboli del putinismo è bassissima, l’80 per cento delle ordinazioni provengono da città di provincia relativamente piccole, dicono i venditori al giornale online Village. «Nelle capitali anche chi vorrebbe indossare la Z preferisce non farlo per evitare conflitti», ha detto ai giornalisti Aleksandr Sadovnikov, che dopo 15 anni nel business delle t-shirt ha cominciato stampare le magliette con la Z. Ma anche in altre città la domanda non sembra enorme: una decina al giorno sulle diverse piattaforme online, a 10-20 euro al pezzo.
Nelle grandi città, la Z invece di portare vantaggi al proprio portatore può procurare guai. A Ekaterinburg, la capitale degli Urali famosa per il suo spirito ribelle, decine di automobili con affisso l’adesivo di sostegno alla guerra sono state ritrovate dai proprietari rigate e con le gomme tagliate. A Mosca qualcuno si diverte perfino a incollare una zeta sulle auto delle persone che gli stanno antipatiche: l’adesivo putiniano può valere anche un parabrezza rosso, oltre a gestacci e insulti. Sadovnikov dice di aver fatto le t-shirt perché sostiene la guerra, e Putin, anche se ammette che sui siti di e-commerce il merchandising della guerra raccoglie sempre dieci volte più pollici versi che like: «Siamo un Paese libero». Un altro commerciante, Mikhail, che non ha voluto fornire a Village il suo cognome, ammette che i “non mi piace” sono ormai una delle poche forme di protesta rimasti ai russi: «Non si vendono benissimo, credo che tra un po’ non le vorrà più nessuno», ha detto.