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 2022  giugno 12 Domenica calendario

Storia di Al Capone

Il 16 giugno 1931 la Giustizia americana dimostrò al mondo come il più spregiudicato dei delinquenti mafiosi potesse essere incarcerato non per i suoi delitti di sangue, difficili da ricostruire per le intimidazioni ai testimoni e le collusioni altolocate, ma per quelli delle sue evasioni fiscali, scoperte con paziente e abile lavoro da una squadra di esperti. Al Capone fu infatti condannato a 11 anni di reclusione. Ne scontò la metà, ma quel processo pose fine alla sua carriera criminale. 
LE BANDE
Alphonse Gabriel Al Capone era nato a New York, il 17 gennaio 1899, quarto di nove figli di Gabriele Capone, un barbiere di Castellamare di Stabia emigrato negli Usa quattro anni prima. Fin da piccolo si era unito alle bande di minorenni di Brooklyn, e da lì aveva iniziato una serie di attività illecite che si impennò quando il giovane, nel 1919, si trasferì a Chicago per aggregarsi a Johnny Torrio, il capo del sindacato dedito allo sfruttamento della prostituzione, alla gestione di bische clandestine e altre amenità. Subito iniziò una guerra tra bande rivali, e tra queste e la polizia, con attentati, omicidi e violenze crescenti. Perseguito per vari reati, Capone fuggi in Michigan, ma attraverso corruzioni e altri maneggi riuscì a tornare a Chicago. Qui la guerra riprese più cruenta di prima: il culmine fu raggiunto il 14 febbraio 1929, con la cosiddetta strage di san Valentino, quando i suoi uomini uccisero a sangue freddo sette gangster rivali. Al Capone fu arrestato e rilasciato su cauzione, e approfittò della libertà provvisoria per ammazzare un’altra serie di concorrenti. Fu di nuovo incarcerato per possesso illegale di armi, e rilasciato per buona condotta dopo pochi mesi.
Benché l’FBI lo avesse inserito tra i massimi criminali, e la stampa l’avesse definito «nemico pubblico numero uno», nessuno riuscì mai a farlo condannare per gli omicidi di cui era stato ispiratore e spesso esecutore materiale. Fu allora che Edgar Hoover pensò di indagare sulle sue transazioni finanziarie, e alla fine lo incriminò per evasione fiscale. Il 6 ottobre 1930 Al Capone si presentò al tribunale federale per il processo. I suoi sodali cercarono di corrompere i giurati, ma la sostituzione di questi ultimi e la pesantezza delle prove gli costarono la condanna a undici anni di carcere e 50 mila dollari di multa. Venne spedito al penitenziario di Atlanta e di lì ad Alcatraz. Tornò in libertà nel 1939 per buona condotta e salute malferma, ma ormai era un uomo finito. Morì il 25 gennaio 1947 a soli 48 anni dopo una lunga agonia. Il carcere, e la sifilide, lo avevano stroncato. 
LE TASSE
La vicenda del maggior gangster americano, uscito indenne da decine di indagini per i delitti più atroci e neutralizzato con una pesante condanna per non aver pagato le tasse ha ispirato una serie di paragoni tra il sistema fiscale americano, severo e persino implacabile verso gli evasori, e quello nostrano, inefficace e pasticciato. La ragione sottostante viene spesso individuata nella diversa sensibilità civica degli individui, e in particolare nell’educazione calvinista degli anglosassoni, più rigorosa di quella cattolica, lassista e indulgenziale. Con parole più crude si afferma che negli Usa l’evasore è considerato un delinquente da bastonare, perché sottrae risorse alla comunità, mentre da noi è un furbetto da comprendere, se non proprio da ammirare, perché è riuscito a farla franca. 
LA VERITÀ
C’è del vero in questa diagnosi spietata. È vero infatti che nei paesi dove la democrazia è nata dal basso, per volontaria associazione, e non precipitata dall’alto, per la caduta dei tiranni, i cittadini si riconoscono in un corpo comune dove i diritti degli uni sono garantiti dai doveri degli altri. Cosicché le casse dello Stato, alimentate dai redditi individuali, quando vengono depauperate da un contribuente infedele sono paragonate a una banca rapinata da un bandito. Sono gli stessi paesi in cui se un passante vede un’auto in sosta vietata chiama un vigile, ed è considerato un benemerito cittadino, mentre in altri è visto come un antipatico intruso o un ignobile delatore. Ma è anche vero che in quei paesi lo Stato tratta i suoi appartenenti come cives optimo iuree, fino a prova contraria li considera onesti collaboratori della collettività. Per questo, quando l’individuo smentisce questa presunzione di fedeltà, lo Stato reagisce in modo severo: perché oltre al danno economico è offeso dalla fiducia tradita. E nel campo tributario, questo principio è consolidato in modo radicale e condiviso. Va detto però che negli Stati Uniti, più che negli altri paesi, lo Stato tende a collaborare con il contribuente. 
LA NORMATIVA
Ha una normativa fiscale abbastanza semplice, ma soprattutto dispone di uffici che aiutano il cittadino a compilare una dichiarazione dei redditi onesta e completa. Una volta certificata questa corrispondenza, il contribuente è lasciato in pace, e solo nel caso in cui emergano elusioni o frodi viene spietatamente sanzionato. In altri paesi, tra cui purtroppo il nostro, il cittadino è considerato di per sé stesso un presunto evasore, e lo Stato lo grava di aliquote eccessive, e talvolta assurde, perché parte dal presupposto che la denuncia dei redditi sia sempre viziata per difetto. Non solo. In questi paesi sospettosi e burocratici, la normativa fiscale è così contorta, ingarbugliata e contraddittoria che è assai difficile conoscerla tutta, ed è praticamente impossibile ottemperarla. E se un cittadino si rivolgesse agli uffici delle Imposte per chiedere aiuto nella relativa compilazione dei redditi verrebbe, se va bene, considerato un intruso molesto, e se va male un potenziale corruttore. Davanti a uno Stato così sospettoso, pasticcione ed esoso, molti considerano gli inadempimenti tributari con indifferenza e persino simpatia.
I RISULTATI
Naturalmente, nella vicenda di Al Capone, noi siamo dalla parte dello Stato americano, anche se avremmo preferito vedere il gangster condannato all’ergastolo per la sua carriera di assassino piuttosto che a qualche anno per reati finanziari. E tuttavia, guardando ai risultati pratici, l’obiettivo di neutralizzare un capomafia con questo strumento apparentemente anomalo è stato pienamente raggiunto. In questo terreno il pragmatismo anglosassone ha molto da insegnarci. Allo stesso tempo, ci piacerebbe che questa lezione fosse appresa da noi in modo integrale: non solo come esempio di severità verso gli evasori fiscali, ma come stimolo a una riforma che rivoluzioni il rapporto fiduciario tra lo Stato e il cittadino. Tenendo presente che il primo comandamento di un sistema normativo è quello di essere comprensibile, e soprattutto condiviso per la sua sostanziale ragionevolezza ed equità. E per noi il cammino è purtroppo ancora lungo.