il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2022
L’Urso nello stagno lanciato dai Servizi
A proposito di Disinformatia. Qualche volta i Servizi – a tutela delle Istituzioni repubblicane – misurano la reattività dell’opinione pubblica con un test. Lanciano un sasso nello stagno e guardano le onde. L’intensità della reazione misura l’area della credulità collettiva e la diagonale indicherà la migliore direzione da prendere: insistere o lasciar perdere. Proseguire nella nuova trincea investigativa, oppure scendere dal Forte e andare a prendere l’aperitivo.
Lo stagno, per consolidata tradizione nazionale, si chiama Lago della Duchessa. Venne usato il 18 aprile 1978, in pieno sequestro Moro, quando i più astuti colonnelli dei Servizi, tutti di affiliazione piduista, fabbricarono un falso volantino delle Brigate rosse annunciando che Aldo Moro era stato ucciso e il suo corpo gettato nelle acque gelide del Lago della Duchessa, una tazza di acqua e ghiaccio incastonata a 1800 metri di altezza tra Lazio e Abruzzo. Lo scopo? Misurare la reazione degli italiani di fronte al falso cadavere di Moro: una finzione per vedere l’effetto che avrebbe fatto a breve il cadavere vero.
Stavolta nello stagno dell’Italia belligerante hanno lanciato direttamente il povero Adolfo Urso, presidente del Comitato di controllo sui Servizi segreti, che incautamente gira con due borse di fotocopie sulle spalle – possiede un dossier su tutto: la cyber security, il Covid da laboratorio, le sementi intese come granaglie “che anche loro fanno parte della sicurezza nazionale” – e poverino, va a fondo che è una meraviglia.
Il Corriere della Sera raccatta dallo stagno il report sui putinisti che minacciano il sonno degli italiani e quello del governo, ne cita nove con nome e cognome, sei in più di quelli scovati dai nostri analisti con barbe finte, e lo accredita in pagina come dossier frutto di “una indagine Copasir”, sebbene il Copasir non indaghi, ma solamente vigili, non fabbrichi liste, semmai le riceva (dai Servizi) e all’uopo le soppesi, ne informi il Parlamento con preziosi commenti settimanali. Centinaia di fogli dattiloscritti e ben impaginati. Più o meno quello che in campo economico fa l’altro capolavoro della nostra alta burocrazia istituzionale, il Cnel, il Comitato nazionale economia e lavoro, che da una quarantina di anni sforna pareri che nessuno legge e formuli proposte che nessuno prende in considerazione, ma è notevolmente presieduto da Tiziano Treu, accademico di vaglia, che prima di diventare presidente del Cnel voleva abrogarlo con apposito referendum.
A differenza di Treu, che naviga tranquillo in acque da pensione, Adolfo Urso – autore di un fondamentale Atleti in camicia nera. Lo sport nell’Italia di Mussolini, Volpe editore, 1983 – rivendica a motori sempre accesi la centralità del suo Comitato, cuore pulsante della nostra autodifesa in tempo di guerra, baluardo patriottico contro la Disinformatia russa, al punto da convocare i vertici Rai e Agcom per sondare i criteri con cui vengono scelti gli opinionisti nei talk show. Indaga sulla intervista a Lavrov, sospettando che il ministro degli Esteri russo sia filorusso, persino più di Dostoevskij. Tutti bei modi di parlare d’altro, ora che si avvicina il dibattito parlamentare sul prossimo invio di armi all’Ucraina. Tutti bei modi di sondare, attraverso le acque del Lago della Duchessa, quanto sia ampia la contrarietà della opinione pubblica italiana all’escalation militare a scapito di quella diplomatica.
Emergendo dal fondo del lago, e lasciandosi alle spalle gli zaini di fotocopie, il presidente Urso, atleta nell’Italia di Draghi, dovrebbe più semplicemente farci sapere chi ha compilato il dossier. A che titolo si indagano le opinioni dei malcapitati. Chi ha redatto la lista dei nomi. Se i putinisti indicati nel report erano tre, come mai sono diventati nove e da quale altro stagno sono spuntati i sei nuovi nemici della Repubblica.