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 2022  giugno 12 Domenica calendario

Biografia di Alan Sorrenti raccontata da lui stesso

È un figlio delle stelle perché da tempo ha superato le nuvole. Così quando arriva, in artistico ritardo, Alan Sorrenti appare come un uomo pacifico e pacificato, sorridente, quasi ieratico nel suo total white di lino; totalmente ieratico quando non stringe la mano ma, scusandosi, preferisce omaggiarci di un lieve inchino a mani giunte. Bell’uomo. Curato. Attento. Da quasi cinquant’anni a Roma ma con una lieve inflessione napoletana, lieve come il suo tono di voce, mai aspro o esaltato, neanche quando ricorda momenti aspri o esaltanti di una vita e una carriera giocate tra l’Italia e gli Stati Uniti, i successi europei, la vetta della classifiche e qualche guaio con le donne e la giustizia (“in realtà solo uno, anche se molto grave”). Il figlio delle stelle giovedì torna con un nuovo singolo, Oggi (esce per Ala Bianca), giocato in perfetto stile Sorrenti, e magari con un pensierino a Sanremo 2023 (“preferirei come ospite”).
All’inizio della carriera la sua musica era “progressive”, molto lontana dalle hit successive.
Figli delle stelle è la sintesi di un processo iniziato nei primissimi anni Settanta con Aria; però non era una strategia, e a questo collegamento ci ho pensato dopo.
Eppure molti hanno parlato di tradimento…
Solo “molti?” (Sorride) Pure Franco Battiato è arrivato a citarmi in una canzone (in “Bandiera bianca” canta: “Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro”); (pausa) eppure lo capisco, ma bisogna stare nella testa dell’altro per comprendere cosa mi stava realmente accadendo.
Ne ha mai parlato con Battiato?
No, l’unica volta in cui ci siamo incontrati è stato all’inizio della nostra carriera, a Roma, in un negozio di sintetizzatori: eravamo gli unici presenti.
Chissà il dialogo.
Nullo; non sapevamo chi fosse l’uno e chi l’altro; l’ho capito solo dopo.
Ma quella frase in Bandiera bianca era da fan deluso?
Davvero, non poteva capire; anni dopo in Fleurs 3 ha inciso un mio brano (“Le tue radici”) ed ero molto curioso di ascoltare la sua versione, magari con una vena araba, e invece ha proposto un pezzo dance. Neanche troppo bello; (pausa e sorriso) sulla dance sono più bravo io.
Il vostro percorso è stato speculare, compresa la presenza ai Festival alternativi degli anni Settanta.
Di quel periodo il mio preferito, il più esplosivo, è stato quello organizzato al Parco Lambro di Milano; (pausa, poi ride) erano performance molto legate alla psichedelia, infatti non ricordo quasi nulla, ho la; comunque mi stupivo di venir accettato.
Perché?
A Milano erano molto più avanti; lì mi sono lasciato andare a sperimentazioni vocali e non tutti i presenti l’hanno presa bene.
Erano gli anni di Demetrio Stratos.
Artista coraggiosissimo, lui andava veramente oltre; (pausa) in quegli anni sono andato in California spinto dal desiderio di conoscere Tim Buckley (grande musicista morto nel 1975, ndr). Ma non ho fatto in tempo.
Come ha scoperto la sua voce?
Questione genetica, un dono mutuato dai miei genitori, poi la forza l’ho trovata dentro e non so se era una forma di ribellione rispetto alla mia condizione di borghese napoletano.
Origini borghesi, quindi.
Medie, modeste: cresciuto al Vomero. Però mia mamma era gallese e ha affrontato molte difficoltà a inserirsi in quel contesto: non sopportava quel bagaglio di tradizioni da rispettare, con mio padre innamorato di Napoli.
E lei?
Avevo dentro entrambe le letture di quella quotidianità; (pausa) Napoli di quegli anni era musicalmente incredibile.
Tony Esposito ha dichiarato che lei è una delle persone più divertenti mai frequentate.
Lo ha detto? Davvero? (È sorpreso e felice) Aveva una vita così disconnessa da potersi permettere tutto; per un album abbiamo convissuto a Londra, entrambi preda della fiamma della libertà, e quella fiamma l’ho ritrovata anche a Roma, intorno a piazza Navona, dove giravamo per case, dove era normale offrire e ottenere un’ospitalità minima senza l’angoscia di venir derubati.
Figli dei fiori.
Con noi c’era spesso Claudio Rocchi; poco prima che morisse l’ho incrociato proprio a Roma: “Cosa fai, ora?”. “Ho aperto una radio a Katmandu”. Mi è sembrato magnifico.
In una canzone canta “vorrei incontrarti sulle strade che portano in India”.
Eh, però non ci sono mai stato.
Torniamo alla Napoli anni Settanta: Pino Daniele era così temuto dai colleghi?
Si sentiva un po’ il capo, e non era unanimemente accettato; ma lui, più di tutti, ha individuato ed espresso l’anima napoletana, era bravissimo ad annusare cosa accadeva, ed è una peculiarità dei veri artisti; pochi mesi prima della sua morte mi ha invitato a un concerto, e ne sono stato felice, l’ho vissuto come una forma importate di riconoscimento.
Negli anni del suo boom si è mai sentito perso?
Eccome, spesso. Poi ho capito che quelle fasi erano normali, dettate dal mio impulso a voler cambiare in continuazione strada; (pausa) non ero dotato di saggezza, avevo la presunzione di venir capito, a prescindere; (silenzio) ero diverso dagli altri.
In cosa?
Da quando ho 16 anni guardo al cosmo e alla spiritualità; la musica mi è servita per unirmi al prossimo.
Ascolta mai i suoi primi dischi?
Sì, per capire quanto ero strano.
I suoi colleghi sono stati invidiosi del successo di Figli delle stelle?
Non lo so, vivevo in un mondo ovattato; (pausa) una sera ero a Firenze per un concerto con la mia band, tutti elementi che arrivavano dagli Stati Uniti, e lì trovai Edoardo Bennato e Tony Esposito. Edoardo voleva capire il perché del mio successo.
E…?
Alla fine si arrese alla qualità della musica; (sorride) quella sera, prima di iniziare, un gruppo di ragazzi di estrema sinistra cercò di boicottare il concerto per protesta contro i musicisti statunitensi.
E lei?
Ci parlai, alla fine tutto si risolse.
Cosa intende per “ovattato”?
Ero sempre circondato da discografici, collaboratori, mia moglie, le donne; a un certo punto quella realtà alterata non l’ho più sopportata, mi distanziava dalla vita.
Quanti anni ha vissuto negli States?
Circa quattro; per incidere Angeli di strada ho coinvolto tutti i componenti dei Toto (il gruppo di “Africa”) e la Los Angeles Philharmonic Orchestra, tanto da finire il budget a disposizione: a quel punto, per completare il lavoro, siamo stati costretti a partire per l’Islanda.
È una battuta?
No, la realtà; e poi in quel periodo vivevo tra Los Angeles e New York a seconda delle esigenze di fuga e…
Da cosa fuggiva?
Quando Los Angeles è diventata insostenibile, per vari motivi, c’era la salvezza a New York.
Traduciamo.
A Los Angeles la situazione era un po’ estrema.
Donne?
Eh, sì. Troppe. Ogni tanto dovevo allontanarmi; (pausa) insomma a New York ho conosciuto una persona che ci ha parlato dei suoi studi musicali in Islanda e siamo partiti.
Luca Manfredi racconta: “Quando mia sorella ha presentato Alan Sorrenti a nostro padre, Alan gli ha offerto uno spinello”.
Non lo ricordo ma è possibile, nel rispetto del mio senso della libertà; (ride) un giorno ero a casa loro, Nino Manfredi torna dal set e trova me e sua figlia sdraiati; resta zitto, ma si avvicina e mi molla un calcetto al piede come a dire “e levate!”. Comunque erano permissivi, in anni strani dove non capivi bene cosa accadeva.
A proposito di cinema: è stato protagonista del film Figlio delle stelle, non proprio un successone…
La storia l’avevo scritta io e la prima parte non è male, poi ho dovuto inserire “l’amore” per giustificare la parte dedicata a Tu sei l’unica donna per me; a quel tempo non ero mai puntuale, per me non esistevano le lancette dell’orologio, arrivavo sul set agli orari sbagliati.
Quando a una ragazza cantava Tu sei l’unica donna per me, era credibile?
(Ride) In privato non la intonavo mai; però è stato un successo europeo, pezzo amatissimo dai tedeschi e in classifica nei Paesi scandinavi.
Ripreso anni dopo da Pieraccioni in un suo film.
È vero, quando è ripartita la moda degli anni Settanta; (ci pensa) ogni tanto mi ritrovo in situazioni particolari con fan inaspettati.
Cioè?
Il tizio che abita sotto di me è un membro del governo Draghi, credo un militare, e mi ha fermato in quanto fan. Ma non ricordo il suo nome.
Quanti guai ha vissuto per la sua propensione alle donne?
Uno solo, fortunatamente, ma molto pesante (nel 1983 la ex moglie lo trovò in casa con un’altra donna e scoppiò il caos fino alla denuncia per detenzione di sostanze stupefacenti); (cambia tono) in quel caso ho incontrato la follia, ma uno può innamorarsi proprio della follia.
Non lo aveva capito?
Non subito, ma allora pure io ci davo.
In quel caso lei era il reo, poi ha subito delle conseguenze gravi.
Gravissime.
Le ha minato la carriera?
La Rai non mi ha più chiamato per anni, e in generale non è stato semplice psicologicamente.
Suo figlio le chiede mai di quella storia?
È stato il primo spettatore; (sospira) ho fatto un lungo percorso che nel 1988 mi ha portato al buddhismo e a diventare membro della Soka Gakkai International; da lì è ripartita la mia ricostruzione umana.
Ha pagato un prezzo alto.
Dipende dai punti di vista, io vivo per l’eternità.
Nell’eternità c’è Sanremo 2023?
Mi piacerebbe, ma come ospite, non in gara; (ci pensa) in gara giusto se ci fosse un duetto con un giovane e mi hanno già cercato in quattro.
Lei chi è?
Questa è difficilissima; sono uno che vive per evolversi e vorrei che gli altri facessero lo stesso.