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 2022  giugno 12 Domenica calendario

In morte di Angelo Chessa

Da dove cominciare. Con Angelo Chessa, scomparso venerdì notte, l’aneddotica non viene in soccorso. Bisognerebbe essere capaci di raccontare il silenzio delle passeggiate, da via Solferino a corso di Porta Vittoria, percorso fisso, senza parlare troppo, perché a volte basta avere un amico accanto. 
Non è facile raccontare di una persona conosciuta per questioni di lavoro, poi diventata altro. Era un medico molto apprezzato a Milano, un chirurgo ortopedico. Adesso che non c’è più possiamo anche venire meno alla consegna del riserbo, per dire che riceveva spesso e fuori orario persone bisognose per un consulto, senza mai chiedere nulla in cambio. Era stato costretto a diventare sopra ogni cosa il figlio di Ugo, il comandante della Moby Prince. Accadde la sera del 10 aprile 1991, e continua a gridare vendetta a Dio e agli uomini. Il traghetto era appena uscito dal porto di Livorno. Urtò con la prua una petroliera, l’Agip Abruzzo. Centoquaranta morti. Angelo aveva 25 anni. Stava finendo l’università a Milano. Vide le immagini al tg del mattino. Capì subito. Ancora non sapeva che a bordo c’era anche sua madre, Maria Giulia, salita all’ultimo momento. La trovarono tra i corpi ammassati nel salone. 
Certe vite cambiano nello spazio di un istante. Quella di Angelo e del fratello maggiore Luchino, che invece studiava a Cagliari, anche lui medico, venne stravolta quella notte. Il nostro primo incontro fu nello studio dell’ingegnere Gabriele Bardazza, trasformato nel monumento alle incongruenze di due sentenze emesse dai giudici di Livorno che davanti ai ritardi nei soccorsi della Capitaneria di Porto di quella città, davanti alla forza dei nomi coinvolti, cristallizzarono quell’evento attribuendo la colpa a una persona sola, all’imperizia di Ugo Chessa, un uomo di mare esperto e di lungo corso. 
Angelo aveva atteso a lungo. Era un italiano che credeva nelle istituzioni. Poi, davanti a verdetti che parlavano di imperizia senza fornire alcuna motivazione, si era messo in proprio. In lui era presente una tensione morale che andava oltre l’accaduto. Credeva nella giustizia senza giustizialismo, reclamava una verità plausibile. Bardazza aveva intuito la sua forza interiore e in tutti questi anni ha lavorato anche lui solo per amor di verità. Ne era nata una controinchiesta precisa, dettagliata, intorno alla quale i fratelli Chessa avevano radunato i familiari delle altre vittime, convincendoli dei loro diritti e del fatto che non ci si può arrendere alla sciatteria italiana che sceglie sempre la soluzione più conveniente, a dispetto della logica. 
Con la sua faccia da cowboy, si era inverato nel ruolo di portavoce di una domanda collettiva di giustizia. Quante volte abbiamo riso delle sue frasi scolpite nel marmo. «Chi ama il basket non può essere una cattiva persona» diceva, e lui lo amava davvero. Era orgoglioso del risultato raggiunto dalla Commissione di inchiesta del Senato, che nel 2018 stabilì l’inesistenza della nebbia temporanea che secondo i magistrati aveva ingannato suo padre. Nel novembre del 2020 aveva incassato senza perdersi d’animo un altro verdetto del Tribunale civile di Firenze, che all’insegna del cane non morde cane ignora i risultati della Commissione e del suo lavoro. 
Mancano poche righe, e occorre utilizzarle per ricordare chi era davvero il dottor Chessa. La cosa più incredibile è che ha combattuto la sua battaglia già colpito dal male che lo ha portato via a soli 56 anni. Mai sentita una lamentela, niente. L’ultima volta, pochi giorni prima dell’inizio della guerra, si fermò all’improvviso appoggiandosi al baracchino dei libri usati davanti al tribunale. Gli mancava il fiato. «Angelo...» «Non è niente, non rompere i c... e non fare domande». Poi, solo messaggi da lontano. L’ultimo lo ha inviato a Gabriele, e rivela la sua incrollabile lucidità, il suo pudore antico. «Se vengo sedato, questa volta mi sa che non ci rivediamo più». Era un italiano che ti fa sperare in un destino diverso per questo disgraziato Paese. La sua lotta per rompere il muro di silenzio intorno alla strage più misconosciuta della storia recente gli sopravvive, come promette il fratello. Ma sono molte le persone alle quali ieri mattina è venuto da piangere. Ciao, Angelo. E buona passeggiata.