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 2022  giugno 12 Domenica calendario

In morte di Aamir Liaquat Hussain

Il mondo non sentirà troppo la mancanza di Aamir Liaquat Hussain, dei suoi commenti sessisti sulle donne indipendenti, delle sue condanne contro i musulmani eretici, degli show televisivi in cui regalava automobili e bambini abbandonati in adozione. Liaquat è stato un personaggio, come si dice in questi casi, controverso, abominevole e irresistibile. Milioni di persone in Pakistan per anni l’hanno seguito, amato, a volte odiato. Lui stesso, sul suo sito, si definiva «una vera leggenda». Quando nel 2013 mise in offerta dei bambini in tv, non lo fece certo per attirare l’attenzione: «Avevamo già altissimi indici di ascolto, abbiamo preso questi piccoli dalla spazzatura e li abbiamo dati a genitori che ne avevano bisogno». 
Un uomo, un influencer, commenta la Bbc, che «ha dominato la coscienza pubblica del Pakistan per vent’anni, icona dell’intrattenimento e simbolo dell’ipocrisia e delle divisioni di un Paese intero». È morto giovedì, non avendo ancora compiuto 50 anni. Predicatore (i suoi sermoni sui valori dell’Islam per Geo Tv sono stati lo show religioso più popolare nella storia della televisione pachistana), politico e parlamentare (è stato vice ministro degli affari religiosi dal 2004 al 2007), e poi attore, presentatore, stilista con la sua linea di abbigliamento. Imprevedibile: una volta dichiarò Salman Rushdie «meritevole di morte»; un’altra fu tenuto in ostaggio da un gruppo di studenti, furiosi per le sue critiche ai terroristi kamikaze. 
Liaquat «funzionava», e trasformava tutto nell’oro dell’audience, nelle perle dei meme. Anche la sua vita privata. Di recente si era sposato per la terza volta, con la diciottenne Dania Shah. Matrimonio durato pochi mesi e finito malissimo a maggio. Shah aveva accusato lo showman di violenze e raccontato la sua dipendenza dalle droghe: «La mia vita con lui è stata un inferno, è peggio del diavolo». Liaquat aveva reagito teatralmente, come sempre, con un video nel quale aveva definito il suo matrimonio «un fiasco» e bollato le accuse di violenza come «fake news» (senza che la magistratura gliene chiedesse conto). Aveva recitato anche la parte dell’offeso, per i commenti e gli attacchi fioccati sui social, minacciando di lasciare gli ingrati pachistani «dopo tutto quello che ho fatto per loro». 
Non se ne sarebbe mai andato, perché fuori non era nessuno. Curiosamente, un uomo pubblico come lui è morto solo, rifiutandosi di aprire la porta ai membri dello staff che volevano aiutarlo. Aveva cominciato a sentirsi male mercoledì, ma non aveva voluto andare all’ospedale. La mattina dopo, nella sua casa di Karachi, gli assistenti l’hanno sentito urlare di dolore. Hanno forzato la porta della stanza. La corsa all’Aga Khan University Hospital non è servita a niente.