Robinson, 11 giugno 2022
Hoffmann e il suo doppio
In margine alla poderosa opera di traduzione e commento di tutte le opere di E. T. A. Hoffmann, L’Orma editore e l’équipe di specialisti guidata da Matteo Galli propongono ora un più agile volume trasversale che sotto il titolo Automi, bambole e fantasmi raccoglie con felice arbitrio sei racconti del grande scrittore tedesco, provenienti in due casi dai Notturni (L’uomo della sabbia e La casa desolata) e in quattro dai Fratelli di Serapione(Gli automi, Schiaccianoci e il re dei topi, Il consigliere Krespel e
Le miniere di Falun).
Celebrato per l’estro capriccioso e volubile della sua fantasia, Hoffmann è in realtà autore di opere fluviali e complesse, costruite secondo i principi delle cornici concentriche e della divagazione metanarrativa (esemplare, in questo senso, l’incrocio fra le “autobiografie” del Gatto Murr e del maestro di cappella Johannes Kreisler). Chi per impazienza o timidezza non fosse disposto ad abbandonarsi alla malia di questo straordinario prosatore, e nondimeno fosse tentato di verificarne la patente di scrittore “ meraviglioso”, potrà giovevolmente partire da questo volume. In esso è campionata una parte importante della fantasia hoffmanniana, quella che stravolgendo lo scientismo settecentesco ( L’homme machinedi La Mettrie, gli automi di Vaucanson) regala alla letteratura un nuovo “ tipo”, che confliggendo con la creatura di Frankenstein e il Golem troverà la sua più piena maturità e la sua canonizzazione nell’opera di Philip Dick. Ma di profetico c’è subito questo, in Hoffmann: che i suoi automi ( Freud ne restò sbalordito) si impongono narrativamente nel segno del “ doppio”. Il Turco parlante protagonista de Gli automi, strettamente imparentato al giocatore di scacchi che tanto colpì l’immaginazione di Poe, risponde a tono alle più ardue domande, come leggesse nel cuore dell’interlocutore: il mistero non viene svelato, ma Hoffmann è diabolico nell’insinuare che tanta esattezza dipenda dalla creatività morbosità della “ relazione psichica” fra uomo e macchina.
Una situazione simile nel racconto intitolato al consigliere Krespel, costruttore e collezionista di violini che suona una ed una sola volta, per poi appenderli alle pareti di una casa architettonicamente impossibile da lui stesso progettata, è evidente, a immagine della propria mente contorta. Ognuno di questi violini è il doppio di un essere umano: suonarlo significa consumare la vita del soggetto corrispondente, secondo un principio di cui si sarebbe ricordato Balzac per laPelle di zigrino: trasportato dall’amore per una giovane cantante, Krespel non resisterà alla tentazione, e pur di sentirla cantare suonerà il “suo” violino fino a farla morire. Possedere è distruggere, identificarsi in una passione è distruggersi, riconoscersi in un oggetto o allo specchio significa dannarsi, e solo nella schizofrenia sembra esserci una via di fuga («Di chi è questa voce orrenda? » si chiede il giovane Nathanael dopo aver declamato un proprio componimento).
Rifacimenti e trasposizioni hanno spesso addolcito quanto di drammatico è in Hoffmann: è il caso diSchiaccianoci e il re dei topi, diventato il celebre balletto di ?aikovskij attraverso la riscrittura edulcorante di Dumas. In una famiglia in cui i bambini sono circondati da una folla di bambole, soldatini e marionette, compare un giorno uno schiaccianoci antropomorfo: messo alla prova con noci sempre più dure, il poveretto perde i denti e viene gettato in un canto come cosa inutile, perfetto esemplare di giocattolo benjaminiano. Recupererà il suo prestigio guidando le bambole contro l’esercito dei topi, ma il suo stigma originario (la bocca sfracellata) si trasmetterà transitivamente a diversi membri della famiglia, che come dannati danteschi passeranno l’esistenza alla ricerca di noci sempre più dure per superare la prova necessaria a liberarli dalla loro oscena bruttezza. E dunque, il rimosso e il suo ritorno, la colpa e la reificazione: non a ?aikovskij dobbiamo pensare, ma al Kafka della Metamorfosi; non a Pinocchio, ma a Pierino Porcospino. Altre volte, come nella Casa desolata, la realtà meccanica di unpersonaggio è solo un’ipotesi per portare fuori strada tanto il lettore quanto il narratore interno: ossessionato dalla sagoma di una donna intravista dietro la tenda di una finestra, quest’ultimo diventa un sistematico voyeur: ma quando verrà a sapere che l’affascinante creatura è una vecchia pazza reclusa dai famigliari, scoprirà qualcosa di ben più sconvolgente, e cioè che ogni finestra è uno specchio, e che egli non potrà più sfuggire all’«orribile sensazione di essere lui quella figura». Lo studente di Praga, incunabolo del cinema espressionista, è molto vicino.
Ma il capolavoro della raccolta, naturalmente, è L’uomo della sabbia.
Quest’essere è lo spauracchio dei bambini, ma è anche lo spregevole Coppelius, che Nathanael incolpa della morte del padre e che sembra reincarnarsi in Coppola, venditore di barometri, di occhiali... e di occhi. Con questi occhi lo scienziato Spalanzani realizza l’automa perfetto, Olimpia, di cui Nathanael potrebbe innamorarsi: ma gli occhi vengono strappati, e i protagonisti si suicidano o sono reclusi in manicomio, e noi, come nelGabinetto del dottor Caligari, restiamo col dubbio che tutta la storia sia stata raccontata da un pazzo.