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 2022  giugno 11 Sabato calendario

Storia dei tajarin

Na fija as l’è nen da marié sa lè nen bun-a a fé ij tajarin cun la pressia, parte da questo antico proverbio langarolo l’affascinante Piccola storia dei tajarin che Luciano Bertello, a lungo insegnante, già direttore dell’Enoteca di Canale d’Alba, nonché grande appassionato di storia locale, ha scritto per Slow Food editore. I tajarin, alchemico impasto di uova e farina (qualcuno mette anche l’acqua, qualcun altro l’olio) tagliati con un coltello, in dialetto cutela, non sono solo un piatto ma un simbolo assoluto di questo lembo di Piemonte, oggi diventato patrimonio dell’Unesco. «I tajarin – spiega Bertello nella premessa al suo volume – sono poesia della civiltà contadina di Langa. E come la poesia nascono dalla sofferenza, dalla mancanza, dalla malora». Ma sono anche una straordinaria cartina al tornasole per capire come le Langhe siano diventate oggi una delle capitale mondiali dell’enogastronomia. Non a caso infatti Bertello ha voluto come sottotitolo «Viaggio affettuoso di un piatto povero diventato ricco».
Un viaggio che accompagna non solo i tajarin ma anche la Langa: da terra povera e abbandonata degli anni del boom quando i contadini vendevano campi e cascine per correre in città a lavorare alle catene di montaggio a meta ambita e ricercata dai gourmet di tutto il mondo. Un paesaggio che è tornato a vivere grazie all’intelligenza e alla caparbietà di chi è rimasto e ha avuto il coraggio di puntare sui propri prodotti e sulle proprie tradizioni come il vino, il tartufo e la cucina. E questa evoluzione da povero a ricco è nei tajarin resa evidente dal numero delle uova contenuto nell’impasto: nella Langa della Malora di Fenoglio la povertà era tale che qualcuno le uova non le metteva neppure (alcune massaie sistemavano però un uovo a bordo del tavolo quando li preparavano, perché vicine ficcanaso non pensassero male), oggi se non ci sono 40 tuorli per chilo di farina, quasi quasi si pensa non siano veri tajarin.
Il bello dei tajarin, come di molti altri piatti della cucina contadina, è che non esiste una ricetta codificata. Ogni borgo, ogni collina, ogni cascina ha la sua ricetta più o meno segreta: «dipende» è la parola che ricorre di più quando si va dalle contadine, custodi della tradizione, a chiedere lumi sulle quantità dei vari ingredienti e sulla modalità di esecuzione del piatto. Senza dimenticare l’importanza ad esempio dell’acqua di cottura, per cui i tajarin dell’Alta Langa sono diversi da quelli di fondo valle. Bertello ricorda una mitica cena a Milano negli Anni 60 in cui si presentava ufficialmente la cucina langarola e per essere sicuri del risultato da Alba portarono damigiane di acqua per cuocere i tajarin.
Nascono prima i tajarin o le tagliatelle? Il volume offre un erudito escursus storico che ripercorre la storia di questo tipo di pasta dalle origini (se ne trova traccia in manuali medievali) fino ai giorni nostri. Curiosamente la fama dei tajarin è recente: nei ricettari di fine Ottocento, con l’Artusi in testa, quasi non ve n’è traccia. Un altro elemento per capire l’evoluzione dei tajarin da piatto contadino a piatto gourmet è il condimento: negli antichi manuali si condiscono solo con burro e formaggio, poi avviene il matrimonio con il ragù di fegatini di coniglio o salsiccia e più di recente quello con il tartufo.
Il libro è anche una straordinaria raccolta di testimonianze e di racconti, quasi uno Spoon River, su personaggi che hanno fatto la storia della cucina (ma non solo) nelle Langhe. Dalla contadina che dava da mangiare e asciugava i calzini a un giovane Fenoglio partigiano che si presentava con il fucile a tracolla a Cesare Giaccone, con il suo ristorante i Cacciatori ad Albaretto della Torre, mito vivente della cucina langarola. Ricorda tra l’altro suo padre che vendeva le uova per i tajarin nei mercati. Cesare però i tajarin non li metteva in carta perché non venivano mai buoni come quelli di sua madre.
Troviamo una ricca mappa di osterie e di trattorie di Langa, Roero e Monferrato, da Felicin a Monforte a Gemma a Roddino, dal Mercato di Cravanzana all’Unione di Treiso, ciascuna con la sua storia di famiglia: tra un matrimonio e una eredità, Bertello va alla ricerca di chi abbia lasciato al locale la ricetta dei tajarin. Conclude il volume una serie di racconti in cui non mancano quelli di chef stellati come Davide Palluda, Maurilio Garola o Enrico Crippa che ripercorrono il loro rapporto con questo particolare tipo di pasta. Arricchisce il libro una prefazione di Carlin Petrini in cui si scopre che i tajarin della mitica Maria Pagliasso del Boccondivino di Bra hanno avuto non poca importanza nella nascita di Slow Food. Completa il tutto un contributo di Giovanni Tesio sulla nascita del mito delle Langhe. Un editing più accurato e una cartina geografica con le mille località citate avrebbero reso però ancora più affascinante la lettura.