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 2022  giugno 11 Sabato calendario

Storia di una famiglia americana di schizofrenici

L’ineluttabilità del destino è una faccenda da tragedia, e non è un caso se dall’antichità, in fondo, non si faccia che arrovellarsi intorno alla stessa domanda. Ho una possibilità anche minima di forgiarmi il mio destino, o è già scritto? Edipo scappa per questo. Non vuole assassinare suo padre. Fa il giro del mondo, e quando ritorna al punto di partenza lo ammazza. Non c’è scampo. Dalla classicità tenta di trovare i responsabili di tutto questo: le Parche, le Moire, e poi gli dei, poi Dio. Ma tant’è, sembra non vi sia soluzione, e doni e preghiere non sembrano risolvere la domanda centrale. Dove si bussa per far cambiare il corso alla vita? Finché non arrivano i biologi e dicono: c’è una doppia elica, si chiama DNA, e lì è il tuo destino.
Hidden Valley Road, del giornalista americano Robert Kolker è in fondo un libro sul destino inscritto nei geni. Al centro vi è la famiglia Galvin e i suoi dodici figli, il primo (Donald) nato nel 1945, l’ultima (Mary), venti anni dopo. Nella famiglia, la schizofrenia dilaga come un virus. Si comincia con Donald e poi il resto è una valanga. Diagnosticati i primi, sembra non ci sia modo di fermare la discesa verso l’inferno. La fede, e la fede nella medicina e nella psichiatria fanno pensare alla famiglia che ci sia un modo per raddrizzare l’elica del DNA e lasciare agli altri una vita normale. Ma al fato non sfuggi.
La famiglia Galvin è probabilmente la famiglia più studiata d’America, e tra le prime ad essere prese in carico come oggetto di studio dal National Institut of Mental Health. Si prestano alla scienza perché la loro disgrazia possa essere utile a tutti, e magari si lenisca qualche dolore in famiglia. Ma la sofferenza resta misteriosa e indicibile: uno dopo l’altro cadono nel fossato. E tra deliri religiosi, i via vai da e per i reparti psichiatrici, il dolore non diminuisce ma si aggrava della sconfitta. Tra i figli, i sani – e le sane – cercano di occuparsi degli altri, ma è tutto solo un palliativo. E Mimi e Don non smettono di riprodursi: è quello che vuole il Signore. Lo sprofondo.
Hidden Valley Road è un documento unico, la cronaca di un inferno familiare, una storia della schizofrenia aggiornata al minuto, e al contempo il Grande Romanzo Americano che forse nessun romanziere era ancora riuscito a scrivere prima con gli strumenti classici della finzione. Kolker accumula il suo materiale con grande pazienza. Centinaia di ore di interviste a tutti i Galvin con cui si riesce a mettere in contatto, inclusa Mimi, poco prima che muoia, nel 2017. Intervista i vicini di casa, amici, terapeuti, ricercatori. Mette insieme, con gli strumenti del giornalista, un’intera galleria di voci che provano a rendere conto di tanta infelicità annidata nei corpi.
Robert Kolker ci mette a parte del suo metodo, nella Nota che chiude il volume. «Nessuna scena è stata inventata. Tutti i dialoghi sono stati sentiti in prima persona o registrati dall’autore, o si basano su resoconti pubblicati o testimonianze di persone che erano presenti all’epoca». L’autore di questo girone infernale ambientato a Hidden Valley Road, nel cuore del Colorado, ci dice: è tutto vero, la verità dei fatti è rispettata, i testimoni sono stati non soltanto ascoltati ma anche messi a parte del processo complessivo.
Ma la ragione per cui Hidden Valley Road è così importante non è documentaria. O meglio, non solo. C’è una ragione ulteriore, che trasforma questo libro in un’impresa non solo emotivamente potente ma letterariamente notevole. Robert Kolker prende tutto questo materiale, lo impasta, e lo trasforma in una storia che ci chiama in causa tutti, ci tiene avvinti come solo il Male, quando si manifesta e chiede udienza, sa fare. Quel male scorre nei corpi e fuori dai corpi, nel sangue e per le strade, negli ospedali, nelle case chiuse a chiave. Quella di Kolker è una tragedia greca aggiornata all’epoca degli elettroshock, in cui non c’è salvezza per nessuno, se non nella pietà.
È la pietà dei sopravvissuti – tra i fratelli – verso quelli che non ce l’hanno fatta. Non si salva nessuno – non si salvano i figli, non si salvano i genitori, non si salva l’America – ma c’è un modo di non voltarsi indietro, e questo è non smettere di provare pietà. «Un freddo pomeriggio d’inverno del 2017 – quarantacinque anni dopo quel giorno sulla collina – la donna un tempo conosciuta come Mary Galvin parcheggia il suo suv a Point of the Pines, una residenza assistita di Colorado Springs, e va a trovare il fratello che un tempo sognava di bruciare vivo. È una donna sulla cinquantina ora, con gli stessi occhi vivaci, anche se da adulta ha deciso di farsi chiamare in modo diverso: Lindsay, un nome che ha scelto non appena se n’è andata via di casa, decisa a rompere con il passato e a diventare una persona nuova».