La Stampa, 11 giugno 2022
Biografia di Liz Cheney
Ci sono due date sull’agenda che Liz Cheney ha evidenziato sullo smartphone: 9 giugno e 16 agosto. La prima è passata ed è quella della prima audizione in diretta tv della Commissione 6 gennaio; la seconda è quando dovrà conquistare nuovamente la fiducia degli elettori del Wyoming, il meno popoloso stato d’America, nelle primarie repubblicane. Sono le due tappe della sua carriera politica, dentro o fuori. Indossando l’altra sera i panni del procuratore più che del politico, Liz, 56 anni, figlia del più potente e discusso vicepresidente della storia d’America, Dick, ha confermato ancora una volta di non temere Trump e di non voler cedere ad alcune compromesso.
Il 13 gennaio del 2021 votò l’impeachment insieme ad altri 8 repubblicani. Gli altri compagni di avventura poi hanno deciso: chi di non ricandidarsi e chi di non parlare più di Trump per preservare seggio e consensi; lei invece ha scelto di abbracciare il suo destino. Il capo dei repubblicani alla Camera Kevin McCarthy dopo quel voto, le mandò un messaggio: se la smetti di attaccare Trump, posso proteggerti. Declinò.
La sua sfida al tycoon che ha messo un’ipoteca sulla democrazia americana è senza pausa. Chi la conosce racconta che Liz è quasi “ossessionata” e dedica metà del suo tempo a mettere in fila prove, studiare i fatti, i filmati e tutto quanto concerne l’ex presidente.
Trump l’ha ripagata giurandole vendetta. Così nel Wyoming, Stato che manda a Washington un unico deputato, il 16 agosto nelle urne i repubblicani troveranno due nomi: quello di Liz e quello di Harriet Hageman, avvocato ex membro del direttivo nazionale repubblicano per la quale si sono scomodati i consiglieri di Trump. La battaglia nel Wyoming è diventata una vicenda personale: il 28 maggio l’ex presidente che nei comizi si presenta senza la preposizione “ex”, ha persino tenuto un appuntamento elettorale a Casper: «Il Wyoming non può sostenere Cheney», ha tuonato. Poi ha fatto circolare alcuni sondaggi che danno la sua protetta avanti nettamente. Liz è consapevole che la corsa è in salita, tiene piccoli incontri con gli elettori, sfrutta i social media per recapitare il suo messaggio. Essere anti-Trump così veracemente in uno Stato che il tycoon ha vinto nel 2020 con il 70% dei consensi è al limite del suicidio politico.
Curioso la amino i democratici, visto il suo record di posizioni conservatrici su molti temi e il suo essere figlia di quel Cheney al cui ricordo i liberal a Capitol Hill hanno ancora brividi fra paura e terrore. Tutto – o quasi – cancellato. Pelosi l’ha nominata vicepresidente della Commissione e gli elogi al suo zelo si sprecano fra i colleghi democratici. Bennie Thompson, capo della Commissione 6 gennaio, giovedì sera l’ha introdotta come una «patriota» e un «funzionario pubblico di grande coraggio». Con i compagni di partito invece i rapporti sono gelidi almeno in apparenza. Chi l’apprezza lo dice a mezza bocca, la stagione elettorale non consente scivoloni. Trump ha piazzato suoi fedelissimi in almeno centinaia di collegi elettorali, le primarie in alcuni posti – il Wyoming è solo uno di questi – sono un derby fra Maga (il movimento trumpiano) e i repubblicani. Liz in diretta tv ha provato ancora una volta a svegliare il suo partito, a chiamarlo alla responsabilità, a riprendere le redini di un conservatorismo che faccia a meno del folclore pernicioso di Donald.
«Quando Trump sarà sparito, resterà il vostro disonore», ha detto riferendosi ai colleghi che restano aggrappati a Donald, ai suoi 75 milioni di voti e ai suoi quattrini. Chissà il vecchio Dick, che ha vissuto da giovane funzionario il caso Nixon, e ha attraversato decenni di politica Usa plasmando il conservatorismo ante-Trump cosa penserà. Meglio il potere o i principi? Liz per ora ha scelto la seconda strada.