ItaliaOggi, 11 giugno 2022
Orsi & tori
Andrea Cabrini, direttore di Class Cnbc:
Il Governatore della Banca d’Italia ha ricordato che se abbiamo uno spread sopra a 200 è proprio per il debito pubblico nel nostro paese. Cosa si può fare concretamente?
Carlo Messina, ceo di IntesaSanpaolo:
Sì, il Governatore è stato molto esplicito e anch’io sono convinto che da un lato bisogna far crescere il Pil, e non c’è dubbio che ciò serva anche per l’occupazione, per la povertà, per le disuguaglianze; ma dall’altro sia indispensabile ridurre lo stock del debito pubblico. Lo Stato ha delle proprietà immobiliari, degli asset che, secondo me non ha nessun significato che rimangano nelle mani del Pubblico. Si potrebbero costituire dei fondi immobiliari sottoscritti dai privati che acquistino questi immobili di buona qualità e quindi concorrano a ridurre il debito pubblico, garantendo rendimenti adeguati agli investitori, tutto sommato con
un livello di rischio relativamente basso.
Il Governatore ha anche segnalato il relativo basso investimento percentuale (solo il 5%) dei risparmi degli italiani in titoli italiani. Credo che questa sia una componente che vada assolutamente favorita, sia per gli investitori che per le aziende che si quotano. Coinvolgendo fondi pensioni, fondi di associazione... Tutto ciò è indispensabile per evitare al paese uno choc terribile. E la nostra Banca mette a disposizione del rilancio del paese 400 miliardi di euro».
È l’ennesima volta che i miei tre lettori trovano su Orsi&Tori questi temi trattati nell’intervista di Class Cnbc fatta da Cabrini in occasione della relazione del governatore Ignazio Visco la scorsa settimana. Ma in questo caso repetita iuvant, perché specialmente dopo le incertezze strategiche e operative manifestate dalla Bce giovedì 9 per bocca della presidente Christine Lagarde, non si può perdere un istante. E non certo volendosi sostituire al governo o al parlamento, bensì con l’intento, che la stampa di qualità deve avere, di diffondere la consapevolezza di che cosa è indispensabile per il progresso e non per il regresso del paese, che MF-Milano Finanza, affiancato dagli altri media della casa editrice, ha deciso di lanciare, come nella crisi del 2011, un appello accorato, che troverete all’interno di questo numero. È stato già firmato da ottanta tra economisti, ex presidenti del consiglio ed ex banchieri centrali, imprenditori, banchieri commerciali come Giampiero Maioli. La sottoscrizione dell’appello è aperta a tutti gli italiani con le modalità indicate all’interno. Noi siamo convinti che sia necessaria una mobilitazione del paese, anche per quanto si sta delineando all’orizzonte e che cerco di spiegare nel testo che segue.
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Le guerre, è perfino ovvio dirlo, non nascono mai dalla sera alla mattina. Senza ritornare sulle dinamiche che hanno portato alla guerra russa in Ucraina, è assai più interessante capire che cosa sta avvenendo sul piano militare fra i due giganti del mondo, gli Stati Uniti e la Cina. E ciò al di là del pericolo Taiwan.
Non è azzardato dire che siamo già in zona guerra fredda, nonostante gli interessi economici fra Cina e Stati Uniti e più in generale con tutto l’occidente siano enormi, nell’ordine di migliaia di miliardi. Nonostante ciò, a dimostrare che è già in corso una vera e propria guerra fredda sono una serie di episodi e scontri di cui pochi hanno finora dato conto.
Il primo e più pericoloso caso, di cui si è avuta notizia certa da fonti riservate e attendibili, riguarda ardite esibizioni aeree nei cieli al confine con la Cina. Il campo di confronto sono i cieli internazionali, quindi liberi per tutti ma nella parte talmente vicino alla Cina che la reazione dell’aviazione cinese è stata veramente ardita. Al punto che gli Usa, ma anche altri paesi dell’area da sempre alleati degli americani, hanno denunciato l’accaduto alle autorità cinesi. In particolare, si è verificato un anno fa lo scontro fra un aereo cinese, poi precipitato con la morte del pilota, e un aereo spia americano. L’episodio si è verificato nei cieli sopra il Mare cinese meridionale.
Quasi contemporaneamente anche le autorità australiane hanno denunciato un episodio di poche settimane fa, davvero significativo della guerra fredda in atto. Infatti, secondo la denuncia, da aerei cinesi sono state rilasciate delle strisce apparentemente innocue, ma invece rivestite di metallo per confondere i radar. Questo materiale è stato risucchiato da un aereo australiano in servizio per il controllo delle coste del Paese.
Ma vicende aeree particolari hanno riguardato anche il Canada, che aveva inviato nella zona di mare prossimo alla Corea del Nord un suo aereo incaricato di rilevare operazioni di contrabbando per superare le sanzioni che hanno colpito il paese guidato da Kim Jong-un, che sbandiera regolarmente la possibilità di lanciare missili a testata nucleare. Obiettivo dell’aereo canadese era quello di rilevare azioni di contrabbando organizzate da Kim per procurarsi carburante attraverso il trasbordo in alto mare da nave a nave ed evadere così le sanzioni poste dall’Onu. L’accusa del Canada è che aerei cinesi hanno messo in pericolo alcuni degli aerei che compivano pattugliamenti, nonostante la Cina abbia approvato nell’ambito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite le sanzioni contro la Corea del Nord.
La temperatura sale in continuazione perché da parte sua la Cina denuncia che aerei e navi da guerra americane e degli altri paesi si avvicinano troppo alle coste cinesi, violando i confini territoriali.
La querelle è davvero preoccupante perché il ministro degli esteri cinese, Wang Yi, il più elegante dei loro governanti, sempre inappuntabile, ha protestato fortemente per questi episodi, mentre gli Usa e gli alleati consideravano ordinarie e necessarie le missioni di sorveglianza. Di rimando l’Australia denuncia che una nave spia cinese si sarebbe fermata soltanto a 50 miglia marine da una sua base operativa non più tardi di due mesi fa. Replica della Cina per bocca del portavoce del ministero degli esteri, Zhao Lijian: «l’Australia minaccia seriamente la sovranità nonché la sicurezza del nostro Paese».
La temperatura è talmente salita fra Australia e Cina che se ne vedono già anche gli effetti commerciali. Per anni l’Australia è stato il secondo fornitore di vino dell’ex-impero celeste. Negli ultimi 24 mesi le esportazioni australiane sono letteralmente crollate e, per un gioco purtroppo non consueto, a beneficiarne prima delle chiusure prolungate delle città per il Covid, è stato il vino italiano, che aveva subito un balzo verso l’alto dai modesti 150 milioni di euro di valore degli ultimi anni.
Il vino australiano funziona da cartina di tornasole del clima che va via via peggiorando e che, configurando appunto una sorta di guerra fredda, pregiudica quanto è avvenuto di positivo nel mondo per la costante crescita degli scambi fra Cina e Occidente. Fin da quando, agli inizi degli anni 70, Richard Nixon e Henry Kissinger soggiornarono nella Diaoyutai Guest house di Pechino per avviare il dialogo politico e commerciale con la diplomazia del ping pong.
Non molti anni dopo su quello slancio, l’Italia compì un grande exploit nelle esportazioni in Cina grazie all’iniziativa dell’allora ministro del commercio estero, con la sapienza del banchiere centrale, Rinaldo Ossola. In una missione storica, aprì una linea di credito standby alla Cina equivalente a 3 miliardi perché fossero usati per comprare prodotti italiani.
Quanto sta avvenendo oggi dimostra che ormai la Cina e il mondo occidentale capitanato dagli Usa dubitano l’uno dell’altro. Tutto ciò sta frenando il progetto comune di denuclearizzare la Corea dal rischio rappresentato da Kim e le sue bombe atomiche.
Il servizio di controllo delle varie agenzie internazionali e in particolare del maggior esperto in materia, l’ex ufficiale Markus Garlauskas, ora docente alla Georgetown University, segnala che un nuovo esperimento nucleare da parte della Corea del Nord potrebbe avvenire a breve, dopo quello del 2017. E nel clima ormai deteriorato l’ex ufficiale afferma che ciò se accadrà dipenderà degli intralci all’applicazione delle sanzioni verso la Corea del Nord da parte della Cina.
Ma la sfiducia provoca sfiducia e quindi la Cina accusa gli Stati Uniti di non aver aiutato la Corea del Nord a tornare al tavolo dei negoziati, dopo che era fallita l’azione dell’allora presidente Donald Trump per incontrare il dittatore coreano. E addirittura da un istituto di ricerca per lo studio del disarmo, con sede a Washington, il Carnegie Endowment for International Peace, arriva l’informazione che i governanti cinesi non credono più alla volontà degli Usa di risolvere l’enorme rischio nucleare nelle mani del dittatore Kim. La strategia americana, secondo l’istituto, è che gli Usa usino la minaccia nucleare nord coreana, dopo che i primi a usare bombe atomiche in Asia sono stati nel 1945 gli stessi americani, per coalizzare Giappone e Corea del Sud contro la Cina.
Ecco la dimostrazione di quale escalation si può generare nella sfiducia reciproca verso il primo stato della guerra, che è quello della guerra fredda.