Il Messaggero, 11 giugno 2022
Fare la camionista
Alessia ferma il camion in una piazzola di sosta, a Zevio, sedici chilometri da Verona. «Ho una pausa di 45 minuti. Mi riposo in cabina con l’aria condizionata, fuori ci sono trenta gradi». Poi riparte, alla guida di un tir lungo 8 metri, che a pieno carico pesa 180 quintali. «Sono l’unica autista in azienda. Non sai quanti mi chiedono: perché fai questo lavoro? Perché mi piace, adoro guidare e viaggiare. Non vorrei fare altro. La mattina comincio con il sorriso e la sera stacco con il sorriso».
Alessia Romeo, 33 anni, lavora per la ditta Carpella Battista Autotrasporti con sede a Capriano Del Colle, in provincia di Brescia. Una delle pochissime autiste di camion in Italia: sono appena il 2%, in calo rispetto al 2019, secondo i dati 2020 del Ministero del Lavoro. In pratica le donne al volante di mezzi pesanti sono circa 13mila contro 615mila uomini. E mentre scende il numero di quante sono in possesso della patente C, cresce quello delle imprese femminili nel settore del trasporto merci su strada: più 4,16% dal 2016 ad oggi.
Da quanto tempo fa l’autista di camion?
«Da quasi un anno, prima facevo tutt’altro. Lavoravo nella ristorazione in Sicilia, la mia regione. Sono di Furci Siculo, in provincia di Messina. Ho cominciato come cameriera poi sono passata dalla sala alla cucina, nell’ultimo anno avevo un contratto da apprendista».
E perché ha lasciato?
«Non era il mio mondo, volevo fare qualcosa di diverso. Muovermi, viaggiare. E sono venuta al Nord con l’idea che avrei trovato un lavoro stabile e più dinamico. Ho preso la patente C e il certificato di qualificazione del conducente. È stato un percorso abbastanza lungo, ma guidare è sempre stata la mia passione. Ho girato l’Italia in macchina. Dopo un periodo di fermo per il Covid, lo scorso luglio ho cominciato a mandare curriculum in giro e mi sono iscritta ad alcune agenzie di lavoro. Nel giro di tre giorni sono stata contattata per un colloquio».
Ed è stata subito assunta?
«Sì, il colloquio è andato bene e la titolare della ditta mi ha proposto di iniziare subito. E così il 2 agosto sono salita sul camion. Emanuela Carpella, la titolare della ditta di Brescia in cui lavoro, ha avuto fiducia in me anche se ero una neopatentata. Tanto di cappello. E ha fatto bene a fidarsi. Non sono una precisina ma sto molto attenta e guido bene».
Che camion guida?
«Uno Scania del 2018, ha una motrice con due assi ed è lungo otto metri. Trasportiamo pacchi, materiali di ferro, strutture di plastica».
Unica donna autista nella sua azienda.
«Sì, e mi trovo molto bene, anche con i colleghi. Ci incontriamo la mattina e poi ci mettiamo in viaggio. Vado da una città all’altra nella stessa giornata. Ero a Venezia, poi sono andata a Padova e dopo un’ora a Verona. Mi piace girare per le città».
In questo ambiente quasi completamente maschile le è mai capitato di ricevere commenti sessisti?
«Ancora nessuno mi ha fatto battute fastidiose. È vero che vado in giro con i pantaloni da lavoro, le scarpe antinfortunistiche e una maglietta, d’inverno anche un giaccone, ma sono comunque una bella ragazza, non passo inosservata. Non so che cosa mi dicono alle spalle e non voglio nemmeno saperlo. All’estero è diverso, si vedono molte più autiste».
Restano sorpresi i colleghi di altre ditte a vedere una donna che guida un camion?
«Capita che arrivo nel piazzale di un’azienda a fare una consegna e il mulettista che mi vede chiama gli altri. Vengono a guardarmi in gruppo, mi scattano anche le foto. Alcuni fanno i galletti, sa come sono gli uomini. Loro sono curiosi ma io un poco mi imbarazzo. Alla fine si ride. A volte il fatto di essere donna gioca a mio favore, mi vedono e dicono: facciamola scaricare subito».
Che turni di lavoro fa?
«Nove ore di guida in totale, ma solo 4 ore e mezza sono continuative. Poi scatta la pausa di 45 minuti. La sera sento la fatica. Arrivo a casa faccio la doccia e mi metto a letto».
Questo è un traguardo o solo un passaggio?
«Un traguardo, per adesso mi fermo qui. Voglio crescere in questa attività, anche facendo esperienza all’estero. La mia passione è viaggiare e sogno di prendere il brevetto di pilota. Non ho figli e non ho intenzione di averne, non sento che sia la missione di vita».
In famiglia hanno sostenuto la sua scelta di guidare i camion?
«Mi hanno lasciato sempre libera di fare quello che credevo. L’hanno presa come un’avventura. Mia madre è sempre un poco preoccupata quando sono in viaggio, appena finisco vuole essere avvisata con un messaggio».
Alle ragazze che vogliono fare il suo stesso lavoro cosa consiglia?
«Di provarci, di non avere paura di niente. Sono convinta che bisogna fare ciò che si vuole. Se c’è la passione siamo tutti bravi. I sogni nel cassetto non servono a nulla».