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 2022  giugno 10 Venerdì calendario

Paola Gassman racconta papà Vittorio

“Non riuscirono a parlarsi”.
Quando, signora Paola Gassman?
L’ultima volta che si videro. Ugo Tognazzi e mio padre, ormai divorati dalla depressione, comunicarono con gli sguardi. Restarono in silenzio.
Muti e tristi, questi due giganti.
E tra loro c’era un legame molto forte. Mi si stringe il cuore se penso che rischiano di essere dimenticati, due protagonisti così. Per fortuna, nell’anno dei rispettivi centenari, li si omaggia. Come nella mostra fotografica Le giornate della luce, ora a Spilimbergo.
Cosa disse suo padre prima di andarsene?
Il cuore gli stava cedendo, era in ospedale. Al telefono soffiò: “Ci vediamo domani, per la farsa del tuo falso compleanno”. Si spense poco dopo.
Farsa?
Sono nata il 29 giugno, ma all’anagrafe, distratto da un copione, sostenne fossi venuta al mondo il 28. Dimenticò pure di firmare con due n, da cui il mio cognome Gassman, diversamente dai miei fratelli. Poi lui, in America, cambiò il suo.
Morì proprio il 29 giugno.
Una data negata nella mia esistenza. Fino alla nascita della mia bisnipote Ginevra, ancora una volta in quel giorno.
Gassman esorcizzava la fine.
Fummo costretti a non rispettare le sue volontà.
In che senso?
Insisteva nella richiesta di farsi impagliare.
Impagliare o imbalsamare?
Voleva lo impagliassimo, seduto su un divano con un registratore. “Così potrò ancora dire la mia”. Era fieramente polemico, un preveggente che non si aspettava nulla di buono dal futuro. Mal sopportava la decadenza dei costumi e della cultura. Però lo accontentammo per l’epitaffio sulla lapide.
Cosa c’è scritto?
“Attore. Non fu mai impallato”.
Nella vita com’era?
Diceva: sono ignorantissimo, non so neppure farmi un caffè.
Il mal di vivere lo schiacciava.
Per via di una madre che aveva voluto recitasse. Era un adolescente timido, introverso. Pagò in tarda età lo sforzo sovrumano di diventare altro. Non riuscì mai a stare tranquillo. La psiche gli presentò il conto.
Era sonnambulo.
E nonna Luisa gli faceva fare i compiti mentre era in quello stato. Soffriva di un disturbo neurologico non diagnosticato. Che di notte lo induceva a spostare mobili pesantissimi, da solo. Mia madre Nora si svegliava al mattino nelle stanze d’albergo e scopriva l’armadio appoggiato a un’altra parete. Anche Shelley Winters scoprì la sindrome di Gassman solo dopo le nozze, e si spaventò.
Come padre se la cavava?
Non era portato per il ruolo. Si sposò con mamma che erano due ragazzi. Sempre in tour, assenti giustificati. Ogni volta che Vittorio tornava mi riempiva di pizzicotti. Un modo goffo per confermare l’affetto. Ripeteva: donne e bambini sono animali incomprensibili.
E più tardi?
Ci siamo conquistati un rapporto fatto del pudore dei sentimenti. Poche parole e intesa. Da amici e colleghi.
Papà andava d’accordo con suo marito Ugo Pagliai?
Lo aveva già apprezzato a teatro prima che uscissimo tutti e quattro insieme a cena, lui con Diletta D’Andrea.
Come andò?
Fu divertente. Le due coppie venivano ufficializzate. Andammo in un ristorante del centro di Roma e scoprii che mio padre ne era uno dei proprietari. Gli portarono un bilancio di gestione, non il conto. Scappammo dal retro per evitare i paparazzi.
Lei, Paola, fece capolino ne Il Sorpasso.
Vittorio aveva un grande feeling con Dino Risi e gli propose di girare le scene cruciali a Castiglioncello, perché lì andavamo in villeggiatura. Faccio la comparsa nelle sequenze del ping pong e della spiaggia. C’era pure Magalli. Ci compensarono con bottiglie di Chanel n. 5. Risi mi spiegò: non posso inquadrarti troppo, tu sei la vera figlia di Vittorio, e quella della storia è la Spaak.
Che ricordo ha di Catherine?
Una signora. Mi spiacque la sua tardiva polemica su quando girava con papà e Tognazzi, le accuse di maschilismo. Ma erano tempi diversi. Vittorio comunque si scusò.
A proposito di polemiche: Castro dei Volsci, paese di Manfredi, ha dedicato il teatro a Gassman.
Nino e la moglie Erminia, che erano nostri amici, non vorrebbero saperne di queste baruffe.
Paola, anni fa lei scrisse Una grande famiglia dietro le spalle. Chi era l’archetipo di questa dinastia?
Mio nonno Renzo Ricci, ma anche Ermete Zacconi, che in punto di morte scambiò un suo amico per Dio e gli disse: “Sono pronto”. Più Vittorio, certo. Per l’illuminazione dei Fori, madrina la Deneuve, improvvisò lì per lì il monologo di Marco Antonio. Lui era Shakespeare, Dante, Brancaleone. Era Gassman.
Lo sogna?
Poco, e mi dispiace. Tempo fa mi è apparso. Allegro, in salute.