il Fatto Quotidiano, 10 giugno 2022
Quando Mosca tentava San Pietro
Nei giorni scorsi, il Vaticano ha varato un comitato che vigilerà sugli investimenti della Santa Sede, per evitare – spiegano Oltretevere – il ripetersi di episodi come quello del “palazzo di Londra”, l’edificio acquistato nel 2014 per circa 230 milioni di sterline con i fondi dell’Obolo di San Pietro. Che non è l’unico affare su cui il Vaticano ha rischiato di uscire fuori dai “parametri etici”.
Tra il 2017 e il 2018, emissari di Vladimir Putin avevano intavolato con il Vaticano una trattativa per alcuni progetti di collaborazione tra Mosca e la Santa Sede, tra i quali la realizzazione di un “centro informativo di analisi e monitoraggio” dentro le mura leonine e il lancio di una criptovaluta chiamata “Papa Coin”. Alla fine nulla si è concretizzato. Ci fu però un dialogo serrato con le istituzioni d’Oltretevere, durato alcuni mesi, portato avanti con l’allora Sostituto Affari generali della Segreteria di Stato, il cardinale Angelo Becciu – oggi imputato per altri fatti nel processo sulla gestione dei fondi dell’Obolo – e culminato in un incontro in Vaticano il 17 aprile 2018. Quel giorno il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha ricevuto il co-fondatore della società russa del Monte Athos, Konstantin Goloshschapov – che fonti vaticane definiscono “consigliere del rappresentante plenipotenziario” di Putin – e il direttore esecutivo del Centro Informazioni e Analisi delle Situazioni presso il servizio informativo del Cremlino, Vladimir Lukyanov. Incontro promosso da Piergiorgio Bassi, imprenditore e componente del Council for Inclusive Capitalism with the Vaticano – Papa Francesco ne è guida morale – e aveva all’ordine del giorno la conclusione di un’altra trattativa molto cara a Mosca, il prestito delle reliquie di San Nicola conservate a Bari. Bassi conferma al Fatto di essere “amico” di Goloshchapov, definito dai media occidentali “il massaggiatore di Putin” per il suo passato di compagno di judo del leader russo (in allenamento lo aiutava a scaldare i muscoli). Goloshchapov è socio di Smp Bank, banca dei fratelli Arkadij e Igor Rotenberg, oligarchi vicini al Cremlino.
I progetti di cui fu interessato il Vaticano emergono dagli allegati alla memoria che l’allora consigliera di Becciu per i rapporti con le intelligence, Cecilia Marogna – imputata per un’ipotesi di peculato legato ad altri fatti – ha chiesto di depositare agli atti del processo in Vaticano. Dagli atti emerge che il 4 settembre 2017, Bassi scriveva alla donna di un imminente viaggio a Roma di Goloshchapov e Lukyanov, per parlare (anche) del centro di monitoraggio e dei “Papa Coin”, e chiedendo un incontro con Becciu. Tra i punti, la visita di Putin al Papa (poi avvenuta il 4 luglio 2019). Nella sua memoria, Marogna definisce quella proposta dai russi “una centrale di ascolto russa su territorio vaticano”. Bassi al Fatto la descrive come un “centro informazioni analisi e strategia”, che “non si occupa di spionaggio ma di monitorare e fare strategia su eventi globali come guerre e pandemie”. C’è poi il tema delle criptovalute. In un’altra lettera, tradotta e allegata a un’email inviata da Bassi a Marogna, si parla di “una struttura congiunta con il Vaticano”, per “muovere ingenti quantità di denaro” e dove includere “organizzazioni del settore (…) che detengono (…) dal 15% al 30% del mercato mondiale”. Proposte che andavano di pari passo con la trattativa sulle reliquie, poi saltata per il veto del vescovo di Bari. Dalla Santa Sede, al Fatto spiegano che “l’incontro (con Parolin, ndr) fu sollecitato da Bassi che, nel luglio 2017, era stato ricevuto in Segreteria di Stato, insieme ai due russi, da Mons. Becciu” e che “non c’erano rapporti pregressi con Goloshschapov e Lukyanov e non ci sono stati più contatti dopo l’incontro”. Bassi spiega che “Becciu continuò a seguire la vicenda, ma senza la mediazione di Marogna”. I legali di Becciu dicono al Fatto che il cardinale “seguì solo la vicenda delle reliquie restando estraneo alle altre questioni”. Il deposito è stato al momento respinto dal tribunale, perché la richiesta è arrivata prima dell’udienza in cui l’imputata sarà sentita.