ItaliaOggi, 10 giugno 2022
Il megalodonte è morto di fame. Storia di un’estinzione
Lo squalo dai mega denti estinto perché affamato dal cugino bianco
Molte sono le ipotesi, tra le quali anche l’effetto di un’esplosione di una supernova, ma in realtà resta ancora un mistero scientifico l’estinzione, all’incirca 2,5 milioni di anni fa, del megalodonte, il più grande squalo mai vissuto e dotato di denti più grandi di una mano.
Ora, ad alimentare il dibattito fra gli esperti sulla sua scomparsa dagli oceani è arrivato un nuovo studio realizzato da una squadra internazionale di ricercatori dell’istituto tedesco Max Planck, a Lipsia, guidati da Jeremy McCormack, e pubblicato sulla rivista Nature Communications del 31 maggio 2022.
La tesi è che la competizione alimentare con un altro predatore, lo squalo bianco, il cugino più piccolo e più agile rispetto al megalodonte ha fatto estinguere lo squalo dai denti giganteschi perché che non è più riuscito nutrirsi a sufficienza. Più il regime alimentare di una specie è specializzato più essa diventa vulnerabile ai cambiamenti ambientali, ha ricordato Gilles Cuny docente al laboratorio di ecologia degli idrosistemi naturali e antropizzati all’università Lione-1. Dunque, il gigantesco megalodonte, il terrore degli oceani, era uno squalo eccezionale ma lo squalo bianco, essendo più piccolo e più agile ha avuto una maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali e dunque di sopravvivere.
Il raffreddamento degli oceani avvenuto alla fine del pliocene (all’incirca 2,588 milioni di anni fa) ha spinto le balene, prede preferite del re degli squali, il megalodonte, a migrare verso la zona artica dove le acque erano diventate più ricche di cibo. Il megalodonte, però, limitato dal punto di vista termico, non aveva potuto seguire la sua «cacciagione» prediletta rimanendo, costretto, nelle acque più calde rispetto a quelle dell’Artico. Ed è stato così che si è trovato in competizione con l’altro grande predatore, lo squalo bianco, il più grande squalo carnivoro, perdendo la guerra del cibo e dunque, in sintesi, morendo di fame.
Al centro dello studio condotto dalla squadra dell’istituto Planck c’è l’analisi degli enormi denti fossili del megalodonte utilizzando un metodo geochimico basato sulla quantificazione di due isotopi di zinco con lo scopo di precisare la sua alimentazione e di compararla a quella di altre specie di pesci, precisando, così, la loro posizione nella catena alimentare tra predatori e loro prede e di meglio comprenderne l’evoluzione nel loro ecosistema. Questa tecnica non era mai stata validata per studiare l’evoluzione degli squali e rappresenta un grande passo avanti che ha richiesto molto lavoro a monte.