la Repubblica, 10 giugno 2022
Intervista alla presidente della Rai Marinella Soldi
Presidente Marinella Soldi, in Rai c’è grande fibrillazione, aggravata dal cambio di alcuni direttori di genere deciso a ridosso del piano industriale. Cosa sta succedendo?
«È sicuramente una fase difficile, ma accade in tutte le aziende alle prese con un percorso di profonda trasformazione, che non è mai lineare né indolore. Le fibrillazioni sono fisiologiche, se non ci fossero significherebbe che non stiamo cambiando nulla. Ma ora credo sia arrivato il momento di mettere da parte le polemiche. Dobbiamo focalizzarci sul futuro del servizio pubblico e occorre che ciascuno si assuma le proprie responsabilità».
Con chi ce l’ha? Con chi, dentro e fuori l’azienda, ha contestato l’ad?
«Noi stiamo cercando di scaricare a terra la trasformazione per generi, elaborata dalla precedente gestione, mentre si definisce la struttura del nuovo piano industriale. È normale che nell’attuazione ci siano punti di vista diversi. Quello che non è normale è riversare questo processo sui media come una faida, una guerra di nomine, oscurando totalmente gli obiettivi dell’azienda.
Mi viene in mente un’immagine».
Quale?
«La finale Italia-Inghilterra agli Europei. A inizio partita, durante il nostro inno nazionale, lo stadio di Wembley era una bolgia, tutti gli inglesi urlavano “buuuuu”: ebbene Giorgio Chiellini, mentre intorno a lui c’era il caos, se ne stava lì, sereno e tranquillo, con gli occhi chiusi, a cantare il suo inno. In testa un solo pensiero: vincere. Ecco, è quello che sta succedendo a noi: si prendono le decisioni, punto. Tutto il resto ènoise ,rumore di fondo».
Fuortes come Chiellini, assediato dai consiglieri-hooligans? Alcuni di loro hanno semplicemente chiesto di essere coinvolti di più nelle scelte. Non hanno ragione?
«Attenzione: Chiellini è l’intero Cda, consiglieri compresi. Per il resto, il tema è sempre lo stesso: i ruoli e i compiti che ciascuno deve svolgere.
Le deleghe all’ad sono ampie e disciplinate dalla legge. Lui ha il diritto e il dovere di operare in questa cornice. Il Cda ha la funzione di capire e deliberare sulle proposte del capoazienda, il cui mandato non prevede necessariamente la consultazione preventiva. Detto ciò, mai come adesso si è dedicato tanto tempo all’informazione dei consiglieri: è quello che in linguaggio anglosassone si chiamainduction .Ossia approfondire alcuni temi, specie i più delicati, prima di trattarli in Cda. In quasi un anno abbiamo fatto più di 40 ore».
Secondo lei è colpa della politica, che in Rai ha sempre messo becco?
«L’editore della Rai è il Parlamento.
Come ho già avuto modo di dire, qui non serve meno politica, ne serve di più ma strategica, che ci aiuti cioè con delle policy di direzione e sviluppo. La politica che influisce sulle microdecisioni frena tutto. Si traduce in un disturbo esterno che condiziona la gestione».
A proposito di policy, laVigilanza sta provando a mettere ordine nei talk mediante la regolamentazione degli ospiti.
Cosa ne pensa?
«Trovo sia corretto suggerire policy che diano una mano all’azienda ad adempiere la sua missione di servizio pubblico. Noi utilizziamo i soldi dei cittadini, è a loro che dobbiamo rendere conto. E a chi li rappresenta nelle istituzioni.
Dopodiché forse sarebbe il caso di discutere della governance Rai, che non è l’ideale: tre anni di mandato sono pochi, ne occorrerebbero 5 per allineare chi redige il contratto di servizio con chi deve metterlo in pratica. E chiarire degli aspetti che creano confusione».
Per esempio?
«La Rai è una società per azioni pubblica, ma non può accedere ai fondi del Pnrr perché non è una pubblica amministrazione. Deve competere sul mercato, ma è obbligata a rispettare, anche sulla pubblicità, una serie di paletti che i concorrenti non hanno. Si dovrebbeintervenire con scelte coraggiose».
Da qualche tempo si sente ripetere: “L’ad dovrebbe essere Marinella Soldi”. Lei che ne dice?
«Io non voglio fare l’ad, l’ho già fatto e non mi interessa, sono molto felice di svolgere il ruolo che mi è stato assegnato. Presiedere il Cda Rai, che è qualcosa di completamente diverso da quello che ho sempre fatto, poter mettere le mie esperienze e competenze a disposizione del servizio pubblico è un onore e un privilegio, specie in questa fase di trasformazione. E poicambiare fa bene, è fonte di rinnovamento».
Lei però, a differenza dei suoi predecessori, è un presidente che parla pochissimo. Perché?
«A me piace più fare che parlare. È il mio stile. In Discovery ricordano i miei successi, non le mie interviste.
E se oggi ho deciso di farne una con lei è perché occorre chiudere un capitolo e aprirne un altro. Anzi, sa qual è la mia ambizione?».
Dica.
«Che di Rai si scriva sulle pagine di economia, innovazione e cultura,non su quelle di politica interna».
Con la presentazione, a fine mese, dei palinsesti autunnali la bufera dovrebbe placarsi. E dopo?
Quali passi attendono la Rai?
«Innanzitutto il dossier Raiway. E bisogna decidere quali investimenti fare e dove trovare le risorse. Se si osserva cosa sta succedendo negli altripublic service media , ci si accorge che è un tema centrale.
Guardiamo la Bbc: poiché il canone resterà fisso per due anni ma hanno necessità di fare investimenti per 300 milioni, manderanno a casa 2mila dipendenti e chiuderanno alcuni canali per usare i risparmi nella trasformazione digitale. La Rai, che ha i medesimi problemi ed esigenze, non farà licenziamenti. La vendita di Raiway potrebbe essere un modo per finanziare la digitalizzazione, di cui abbiamo assoluto bisogno per attrarre il pubblico giovane, ma toccherà al Cda decidere».