Corriere della Sera, 10 giugno 2022
Messner e lo scarpone del fratello ritrovato
Le propaggini del ghiacciaio Diamir, ai piedi del Nanga Parbat, in Pakistan, hanno restituito l’ultimo tassello di una storia dolorosa: i contadini hanno ritrovato la seconda scarpa di Günther Messner, che su quella montagna (8.126 metri) perse la vita nel 1970 a soli 24 anni. Il fratello Reinhold ha pubblicato l’immagine dello scarpone su Instagram con queste parole: «Quella tragedia rimane, così come rimane Günther».
Cinquantadue anni fa, Messner raggiungeva per la prima volta la vetta di 8mila metri. Il fratello Günther lo raggiunse ma poi, durante la discesa, il ragazzo venne travolto da una valanga. Entrambi si persero, si cominciò a darli per morti. Reinhold ritornò giorni dopo: dovette subire l’amputazione parziale delle dita dei piedi, ma sopravvisse».
Messner, i resti di suo fratello vennero recuperati nel 2005, ora questa seconda scarpa. Come si sente?
«Sono in pace con me stesso, anche se quell’incidente ha cambiato la mia vita. Di certo, c’è un’altra prova del fatto che io non ho abbandonato Günther. Anche questa scarpa è stata trovata nella zona dove io avevo indicato il punto preciso della sua scomparsa».
In passato alcuni l’hanno accusata di aver abbandonato suo fratello.
«Ho anche vinto dei processi, se è per questo. Poi, nel 2005, accadde che i resti vennero ritrovati sul versante che io ho sempre indicato come il luogo dove l’ho visto sparire (a 4.600 metri circa, ndr.)».
E questa scarpa è una conferma della verità?
«Sì, perché non può che essere di Günther: è stata realizzata in un’edizione limitata solo per quella spedizione, dunque fatte apposta per noi, con dei materiali particolari e riconoscibili. L’altra scarpa si trova nel museo della montagna che porta il mio nome».
Si sente sollevato adesso?
«Non è sollievo. Quell’episodio mi ha segnato, non solo per la perdita di una persona molto cara, ma anche per la bassezza delle accuse che mi sono state mosse. Hanno detto che io ho lasciato morire Günther sacrificandolo alla mia ambizione. Nella montagna c’è un finto cameratismo: ci si proclama tutti amici e poi ci si pugnala alle spalle».
Naturalmente lei ha chiesto di riavere la scarpa?
«Sì ma non voglio che venga spedita. Ho degli amici che vanno e vengono tra la Germania e il Pakistan, penso che chiederò a loro di portarla a mano qui in Europa».
Un ricordo di Günther?
«Abbiamo cominciato a scalare sin dagli Anni ‘60. A volte io vado tra le mie montagne solo per vederle com’erano, e ad accompagnarmi è il ricordo di mio fratello ragazzo, perché di lui ho solo questo ricordo giovane. Oggi, da vecchio, cerco spesso questo tempo fermo nel cuore».