la Repubblica, 9 giugno 2022
Pintus, l’uomo che fa correre il Real
Nel fantastico motore del Real Madrid c’è la mano di un esperto italiano, uno dei migliori preparatori atletici al mondo: il professor Antonio Pintus da Settimo Torinese. Sessant’anni a settembre, quattro lauree, dottorando in ricerca e tre Champions League con Zidane e Ancelotti, appena premiato dai colleghi con “Il cronometro d’oro”. Lo hanno voluto con sé Lippi, Vialli, Zola, Deschamps, Capello, Zidane e Ancelotti. Con lui corrono tutti come matti.
Corrono e vincono. Un motivo ci sarà.
Professore, qual è il suo segreto?
«Ho sempre studiato e lavorato tanto. Tutto comincia dai test fisici: ogni atleta è diverso per soglia aerobica e anaerobica, velocità, potenza, forza e accelerazione. La base è scientifica con alcune intuizioni del momento, e molto del lavoro viene personalizzato».
Che squadra è, questo Real?
«Ha l’umiltà dello spogliatoio e la vocazione alla fatica, oltre a qualità mentali e tecniche eccezionali. E poi c’è Carlo Ancelotti, formidabile allenatore di uomini prima che di calciatori».
È vero che lei li ha fatti correre con le maschere di ipossia?
Sembravano maschere antigas…
«Era un test per misurare la potenza aerobica: di solito si fa in laboratorio, sul tapis roulant, invece noi lo facciamo in campo».
Lei passa per essere un demonio con la faccia d’angelo.
«Corro insieme al gruppo, faccio tutti gli esercizi con i ragazzi.
Cerco di spingerli al limite e mi spremo anch’io, soprattutto in preparazione precampionato.
Loro pensano: se Pintus corre così a sessant’anni, dobbiamo farlo pure noi. Io corro da una vita, come tu sai…».
Meglio allenarsi con o senza la palla?
«I ragazzi vogliono il giocattolo, però sanno dell’importanza di entrambi i metodi. Da circa quindici anni si è iniziato a integrare preparazione fisica e tecnica, esercizi con e senza palla, però per esperienza ho rilevato che gli infortuni possono aumentare, soprattutto se non si eseguono adeguate compensazioni. Non dimentichiamoci comunque che la partita viene giocata con la palla».
Perché il “vecchio Real” corre tanto?
«Nella scorsa estate non abbiamo disputato tornei extra continentali, e ci siamo allenati assiduamente per più di quattro settimane nel caldo torrido di Valdebebas, a Madrid».
Con lei, Conte ha vinto
quell’incredibile scudetto all’Inter.
«La pandemia ci permise una lunga sosta, lavorando tanto senza palla, per cause di forza maggiore. Alla ripresa del campionato la squadra rispose in modo eccellente, nonostante una pausa estiva cortissima dopo la finale di Europa League».
Dicono che Pintus sia uno dei
segreti dell’eterna giovinezza di Cristiano Ronaldo.
«Lui è un mostruoso atleta innato, un fenomeno della natura che però coltiva il suo dono con sacrificio e dedizione inimmaginabili, qualità che si sposano con la mia filosofia professionale: uno stimolo importante per me».
Che tipo è Benzema?
«Somiglia a Cristiano, l’ho trovato molto cresciuto da tutti i punti di vista, tanto che lavora sempre ed effettua trattamenti fisioterapici supplementari a domicilio. Un ragazzo di sacrificio, attento a tutto. E sa coltivare il valore dell’amicizia».
Nella finale contro il Liverpool, il portiere Courtois è sembrato un prodigio assoluto: di che macchina stiamo parlando?
«È alto due metri: ogni volta che fa una parata a terra è come se scendesse cinque piani di scale di corsa. Possiede una grandiosa coordinazione neuromuscolare».
Lei parla dei suoi giocatori con grande trasporto, eppure ne è il torturatore.
«Voglio loro un bene dell’anima, li porto tutti nel cuore. Gente come Vialli, Zola, Nedved, Evra, Chiellini non si dimentica. A volte gioco con i miei bambini e penso a Kroos, a Modric…: mia moglie non la prende sempre benissimo. Mi dice: Antonio, torna da noi».
Quanto è stata importante la Juventus nel suo percorso?
«Fondamentale: la mia prima grande esperienza dopo avere allenato il Settimo, avere fatto il professore di educazione fisica e l’allenatore dei mezzofondisti del Cus Torino e Sisport. Con Boniperti era come entrare in una cattedrale. Firmai il primo contratto in bianco, ma per me fu un enorme onore entrarci. Giusto così. Se sei alla Juve, devi lavorare e dire grazie. Lì ho imparato le competenze diversificate: il meglio di ognuno nel proprio settore, senza confusioni».
Lei arriva da una periferia operaia: com’è riuscito a diventare quello che è?
«Mio papà era operaio alla Fiat, veniva dal centro della Sardegna. Mi ha insegnato a imparare l’arte senza metterla da parte».
Quanto sono cambiati i calciatori?
«Oggi hanno quasi tutti la palestra in casa e si allenano anche per conto loro. Sono più preparati di una volta, ma sempre di ragazzi si tratta. E con i ragazzi serve amore».