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 2022  giugno 08 Mercoledì calendario

Cercasi cameriere per 1.800 euro al mese

«Un cameriere alle prime armi prende oggi circa 1300 euro netti in media, ma nelle località di villeggiatura della Sardegna e al Nord si registrano picchi che arrivano anche a 1800-1900 euro». Così Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, l’associazione leader nel settore della ristorazione, dell’intrattenimento e del turismo. E allora perché non si trovano camerieri a sufficienza? «Non certo per colpa dei salari, che non sono bassi affatto quando i contratti vengono applicati correttamente», spiega il numero uno della Federazione italiana dei pubblici esercizi, «il nostro settore sconta un problema reputazionale, il lavoro del cameriere viene visto come un lavoretto, ma non è così, ci sono ragazzi che si pagano l’università servendo ai tavoli e che nel mentre acquisiscono valori importanti». In molti puntano il dito contro il reddito di cittadinanza. «Il sussidio calato a terra dai Cinquestelle ha sicuramente inciso, ma grazie alla stretta introdotta dal governo Draghi con l’ultima legge di Bilancio, che prevede la decadenza del beneficio per chi rifiuta due offerte di lavoro di fila, la prestazione di sostegno al reddito ha un effetto meno distorsivo», sottolinea Stoppani.
I dati Inps relativi al 2019 per i pubblici esercizi dicono però che camerieri e barman prendono meno di 9 euro. «Il problema deriva dai contratti pirata che non rispettano i minimi tabellari e non applicano le garanzie dei contratti collettivi, un fenomeno da combattere», puntualizza il presidente della Fipe.
LE DIFFICOLTÀ
Intanto, nel settore della ristorazione il personale è all’osso. «Cerchiamo persone non personale. Durante la pandemia abbiamo perso 200mila lavoratori, sono migrati nei settori della logistica e della distribuzione alimentare, comparti che offrivano maggiori garanzie all’epoca delle restrizioni per l’emergenza sanitaria», prosegue il rappresentante dei ristoratori. Oggi i ristoratori con carenze di personale sono costretti a rinunciare in certi casi anche al 20 per cento della capienza. E c’è pure chi deve restare chiuso due giorni alla settimana. «In quest’ultimo caso il problema sono i costi fissi, affitto e utenze, che non diminuiscono quando si resta chiusi per più tempo», mette in evidenza la Fipe. Per uscirne, continua Stoppani, bisogna rafforzare le scuole professionali, recuperare manodopera dall’estero e puntare sulla decontribuzione anche a tempo parziale. Nel primo trimestre del 2022 l’indice del fatturato delle imprese della ristorazione è cresciuto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente dell’88,7%. Un balzo comunque non sufficiente a raggiungere i livelli pre-covid.