Avvenire, 8 giugno 2022
La «cintura» rossa dei naxaliti
Il 25 maggio 1967 le forze di sicurezza aprirono il fuoco contro contadini che prendevano parte a una protesta nel villaggio di Bengai Jote, nello Stato nordorientale del Bengala occidentale, uccidendo nove adulti e due bambini. Sono trascorsi 20.468 giorni da questa data di sangue che segna l’avvio dell’insurrezione di ispirazione maoista che prende il nome dal distretto di Naxalbari teatro di quegli eventi e che nel tempo è diventata la più grande minaccia all’integrità e alla sicurezza dell’India post-indipendenza. Oggi i naxaliti sono attivi in un vasta fascia di territorio che attraversa l’India da Nord-Est a Sud-Ovest includendo aree di più Stati: Bengala Occidentale, Madhya Pradesh, Bihar, Jharkhand, Chhattisgarh, Odisha (Orissa), Karnataka, Andhra Pradesh. Una “cintura rossa” dove la guerriglia (che oggi può contare su 6-7.000 combattenti), resta attiva in 70 distretti di una decina di Stati dove gestisce territorio e comunità con relativa autonomia, imponendo una propria amministrazione, la riscossione delle imposte; lucrando sui progetti di sviluppo governativi, su sequestri e espropri. Nelle aree sotto il loro controllo e a volte anche all’esterno, i naxaliti hanno portato attacchi devastanti contro le forze di sicurezza ma anche contro obiettivi politici. Come l’agguato del 25 maggio 2013 a un carovana di notabili del partito del Congresso nello stato di Chhattisgarh, dove vennero trucidate 28 persone, tra cui il leader locale del partito e il ferimento di un altro importante esponente a livello nazionale. La convinzione ideologica, come pure la forza delle armi non sono le sole che spiegano la ’tenuta’ dell’insurrezione naxalita. Arretratezza e discriminazione che non hanno avuto risposta o giustizia hanno creato il terreno di coltura favorevole alla persistenza dell’ultimo movimento di ideologia maoista attivo oggi in Asia in grado di confrontarsi militarmente con un esercito moderno. Attirando anche simpatie e adesioni di alto livello. Come quella della scrittrice Arundhati Roy, che nel 2010 trascorse settimane con i guerriglieri descrivendone vita e motivazioni in un libro controverso (Camminando con i camerati) in cui l’offensiva antiterrorismo su vasta scala Greenhunt, avviata nel 2009 e ancora ufficialmente non conclusa, viene indicata come paravento per espellere i tribali dalle loro terre ancestrali e sfruttarne le risorse minerarie. Da diverso tempo, senza rinnegare la lotta armata, l’impegno dei leader si è orientato verso la partecipazione politica a livello locale e alla cooperazione con comunità rurali, fuoricasta o tribali.
Significativa è stata l’ammissione di responsabilità espressa più volte dai maoisti nell’uccisione del leader estremista indù Laxmanananda Saraswati che è stata all’origine della campagna che nell’agosto 2008 devastò le comunità cristiane del distretto di Kandhamal, in Orissa accusate ingiustamente del crimine. Dopo un calo consistente negli anni Novanta e un loro rilancio dal 2004 (con 15mila morti da allora, di cui 3.000 militari), l’ultimo biennio ha visto estendersi nuovamente la presenza della guerriglia in aree anche distanti tra loro. Conseguenza di un minore controllo del territorio da parte delle forze di sicurezza nel tempo pandemico ma anche del riaccendersi delle tensioni sociali.