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 2022  giugno 08 Mercoledì calendario

Top manager, stipendi 670 volte più alti dei dipendenti

Altro che salario minimo, verrebbe da dire. Mentre nell’Ue si decide di dare paghe che permettano di arrivare a fine mese, dall’altra parte dell’Oceano si parla del problema opposto: e cioè di chi guadagna troppo. A fare notizia sono i maxi-compensi degli amministratori delegati. La differenza di stipendio con i loro dipendenti nel 2021 è schizzata. Secondo uno studio dell’Institute for Policy Studies, il compenso medio di un ceo è di 10,6 milioni, pari a 670 volte quello di un lavoratore che è di 23.968 dollari. Il gap è aumentato rispetto alle 640 volte del 2020.
Che cosa ne pensino i lavoratori non è difficile immaginarlo, soprattutto in un periodo in cui l’inflazione negli Stati Uniti è arrivata all’8,3%, un livello che ieri il segretario di Stato americano Janet Yellen ha definito «inaccettabile». Ma nella culla del capitalismo cominciano a intravedersi le prime crepe del sistema che premia la meritocrazia e la competenza.
I segnali sono emersi nelle assemblea annuali delle società quotate in Borsa, alle quali la legge sulla corporate governance impone non solo la trasparenza sugli stipendi e una policy stabilita dal Comitato Remunerazioni, ma anche un voto dei soci, che per quanto non sia vincolante dà comunque l’idea di quello che pensano. Ebbene, il «pensiero» sta cambiando: a Wall Street cresce il malcontento e tra gli antagonisti compaiono non soltanto piccoli azionisti etici ma anche investitori istituzionali di primissimo piano. Il Financial Times ha citato il colosso Vanguard e il fondo sovrano della Norvegia. Le frizioni hanno raggiunto livelli tali che in diversi casi le società hanno deciso di rinviare i voti su queste paghe controverse. Ft cita i dati della società di consulenza Farient Advisors, secondo cui sull’anno fiscale 2021-2022 le società quotate sull’S&P 500 che hanno ottenuto un appoggio superiore al 90 per cento ai loro piani retributivi è calata al 61% rispetto al 71% dell’anno prima e al 76% di quello ancora precedente, mentre aumenta la quota di società in cui si è vicini alla «rivolta»: le imprese in cui il sostegno è sotto il 90% sono salite dal 25% del 2020-2021 al 36% nell’anno fiscale appena chiuso.
Ft ha precisato che la statistica non include Amazon, che lo scorso maggio ha ottenuto un risicato 56% di sostegno per le gratifiche elargite ai dirigenti, a fronte dell’81% dell’anno precedente e del 97% degli anni ancora prima. Il caso di Vanguard è citato per il non voto a sostegno del maxi pacchetto retributivo da 247 milioni di dollari all’amministratore delegato di Warner Bros Discovery David Zaslav. Molti investitori attivisti ostili a queste retribuzioni stellari, consci del fatto che votare contro i piani retributivi non ha alcun effetto restrittivo su paghe e bonus (il meccanismo viene chiamato «say-to-pay»), stanno cercando di alzare la pressione sui componenti dei consigli di amministrazione a loro più vicini affinché intervengano concretamente. Il quotidiano britannico già a inizio aprile aveva rilevato come il già enorme divario retributivo tra top manager di società e dipendenti negli Usa abbia segnato un balzo anche lo scorso anno. Tra i casi più eclatanti citati oltre a David Zaslav, anche quelli dell’amministratore delegato di Amazon Andy Jassy che ha un compenso annuale di 212,7 milioni di dollari e del ceo di Intel Pat Gelsinger con 178,6 milioni. Ma secondo «Fortune» il ceo più pagato è Peter Kern: 296 milioni.