Corriere della Sera, 8 giugno 2022
Referti medici online: Italia a due velocità
L’informatica ci semplificherà la vita! Da più di un decennio ci dicono che per accedere ai servizi della pubblica amministrazione dobbiamo fare la Pec, e poi lo Spid. E i cittadini italiani diligenti hanno eseguito. Poi succede che cambi medico e ti chiede di portargli tutti i referti della tua storia sanitaria. Succede che vai a fare gli esami del sangue e per ritirarli devi fare la fila allo sportello e non puoi fare il pagamento del ticket online.
Nasce nel 2012 il fascicolo sanitario elettronico, tecnicamente abbreviato in Fse (decreto-legge 179/2012 del governo Monti). L’obiettivo è poter accedere a referti ed esiti delle prestazioni mediche sul computer di casa, dell’ufficio o sul telefonino senza fare file agli sportelli, consentire ai medici di famiglia e agli specialisti di condividere le nostre informazioni clinico-sanitarie senza farci ripetere inutilmente esami e visite e far sì che se ci spostiamo da una regione all’altra per curarci non siamo costretti a viaggiare con una valigia di documenti. Formalmente il fascicolo è stato attivato da tutte le Regioni, ma il suo effettivo utilizzo è tutt’altra storia. Andiamo a vedere l’origine di questi dieci anni di illusioni e menzogne (su Corriere.it sono pubblicati in originale anche i documenti con tutti i numeri).
Non ci sono tutti i documenti
Prendiamo come riferimento gli ultimi due anni, visto che prima poteva andare solo peggio. Su 100 prestazioni erogate, 91 sono consultabili dentro l’Fse in Emilia-Romagna, 60 in Toscana, 43 in Piemonte, 31 in Lombardia, 27 in Basilicata, 19 in Lazio, 4 in Sicilia, 3 in Liguria, 1 in Calabria e in Campania. Questi dati emergono dalle «Linee guida per l’attuazione del fascicolo sanitario elettronico» a pagina 13. Se entriamo poi nel dettaglio succede che, a parte i referti di laboratorio che normalmente vengono pubblicati, nel terzo trimestre 2021 dentro al fascicolo non c’è traccia di una lunga serie di prestazioni:
1) manca il 65% degli esiti esami istologici (anatomia patologica), e 14 Regioni su 21 sono addirittura a zero (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Molise, Provincia autonoma di Bolzano, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Umbria);
2) non c’è il 45% dei referti delle visite specialistiche: 11 Regioni non ne pubblicano nemmeno uno (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Toscana e Umbria);
3) nessuna traccia del 40% dei risultati radiologici: zero in 8 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Sicilia);
4) assente anche il 35% dei verbali di Pronto soccorso: zero in 7 Regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Molise e Sicilia);
5) indisponibile il 35% delle lettere di dimissione ospedaliera: zero in 7 Regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, provincia autonoma di Bolzano, Sicilia).
Per quel che riguarda il cittadino, oltre a poter consultare gli esiti dei propri esami del sangue (e questo avviene quasi sempre) era stato promesso l’accesso al proprio libretto vaccinale e la possibilità di scegliere o cambiare il proprio medico di famiglia: in 9 Regioni non è possibile fare la prima cosa, in altre 9 la seconda. In 11 non è possibile pagare le prestazioni, e in 14 fare le autocertificazioni delle esenzioni per reddito.
Dati caricati male
I motivi dell’inefficienza variano da Regione a Regione. La Lombardia e il Piemonte inseriscono rispettivamente un aggiuntivo 46,7% e 14,3% di referti, ma in modo poco utile, perché vengono caricati dei semplici pdf. Cosa vuol dire in partica? Il medico per sapere che la pressione massima del paziente il giorno X è di 150, il giorno Y di 140, il giorno Z di 155, deve aprire ogni volta un pdf diverso, come se fossero tanti fogli inviati per fax, mentre gli strumenti informatici permetterebbero di avere un’unica tabella dov’è possibile vedere a colpo d’occhio l’evoluzione della pressione, che è poi quel che serve al medico, visto che i tempi di visita sono sempre più brevi.
Fra Regioni i dati non dialogano
Anche quando i documenti sanitari sono inseriti non possono essere scambiati tra Regioni e, quando avviene, è con estrema difficoltà. Per esempio: se un paziente è di Genova e sta male a Roma, o viceversa, l’accesso alle cartelle cliniche è quasi impossibile perché ciascuna Regione parla un diverso linguaggio informatico, e ciò impedisce l’apertura del fascicolo sanitario elettronico. Quindi, si rifà la trafila di esami.
Lo utilizza un cittadino su tre
Siccome dentro al fascicolo ci sono poche informazioni, i cittadini a loro volta non lo utilizzano come punto di riferimento. In questo va considerato il fatto che abbiamo una popolazione anziana con poca dimestichezza all’uso dell’informatica, anche quando la procedura è semplice. Se guardiamo le statistiche nel 2021, solo il 38% della popolazione conosceva l’esistenza del Fse e lo usava il 12%. La pandemia ne ha fatto scoprire l’utilizzo: per scaricare i referti dei tamponi, i certificati vaccinali e il green pass. Ma ancora oggi la percentuale di diffusione è bassa: il 55% sa che esiste, il 33% lo usa (Osservatorio Sanità digitale del Politecnico di Milano).
I soldi europei
Il Pnrr ha stanziato 1,38 miliardi di euro per fare due cose: 1) attrezzare le Regioni con gli strumenti informatici e le competenze necessarie a caricare davvero i dati clinici dei pazienti e condividerli tra medici, ospedali pubblici e privati accreditati; 2) adottare un unico sistema informatico nazionale in modo che tutte le Regioni siano in grado di parlarsi tra loro.
Cosa è stato fatto finora
Sono stati avviati i programmi pilota in sei Regioni (i tecnici stanno lavorando con Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Puglia per aumentare il numero di documenti presenti sul fascicolo e per migliorare lo scambio di dati tra Regioni). Con il Dl del 27 gennaio 2022 numero 4 (art. 21) viene data la possibilità di creare regole uniformi su tutto il territorio nazionale e istituire l’Agenzia per coordinare l’evoluzione digitale dei sistemi sanitari regionali. Le Linee guida sono state approvate: quindi è stato chiarito una volta per tutte quanti e quali documenti è obbligatorio inserire (la lista è pubblicata sempre su Corriere.it). Inoltre è previsto l’invio di tecnici ministeriali per aiutare le Regioni a digitalizzarsi. Finora, infatti, una delle loro difficoltà è stata anche la mancanza di personale dedicato.
L’imbuto dei medici di famiglia
Anche i medici di base devono compilare il «patient summary», ovvero il profilo sanitario sintetico, che deve contenere la storia clinica del paziente con l’indicazione di eventuali malattie croniche, trapianti, terapie farmacologiche in corso, allergie e reazioni avverse a farmaci. Oggi 18 Regioni su 21 non lo compilano (tranne Val d’Aosta, Umbria Sicilia dove i medici vengono pagati per farlo). E qui il tema è politico: cosa fare per convincerli? Pagarli di più per tenere aggiornata una scheda che a ragion di logica dovrebbe già essere inclusa nei loro compiti? Sta di fatto che i fondi sono vincolati al raggiungimento entro la fine del 2025 dell’85% dei medici di base collegati, e all’inserimento dei documenti da parte di tutte le Regioni entro giugno 2026. In caso contrario i soldi andranno perduti. Al progetto lavorano tre ministeri: Salute, Transizione digitale e il Mef.