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 2022  giugno 08 Mercoledì calendario

Intervista a Jonathan Coe

Atteso a Torino per il Jazz Festival, in cui si esibirà alle tastiere con la Artchipel Orchestra, Jonathan Coe arriverà sabato prossimo in Italia in veste di compositore e musicista, ma nell’anno del Platinum Jubilee tornerà a raccontare la sua Inghilterra con il nuovo romanzo Bournville.
Mr. Coe, con i suoi libri ha creato un grande ritratto del suo Paese: da La famiglia Winshaw a Middle England abbiamo visto il Regno Unito passare da Margaret Thatcher a Boris Johnson via Tony Blair. E anche da voi le diseguaglianze sono aumentate, con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Pensa che il futuro abbia in serbo qualche buona notizia?
«Non sono un profeta e attraverso i miei personaggi non intendevo fare un’analisi politica ma comporre un ritratto – che spero sia accurato dal punto di vista storico – di ciò che ha significato per delle «persone qualsiasi» vivere nel corso di ere politiche segnate dal thatcherismo, dal blairismo, dal cameronismo eccetera. Da semplice cittadino, reagisco come chiunque altro a ciò che ogni giorno leggo sui quotidiani: con un misto di rabbia, divertimento ma soprattutto confusione. Dopodiché trasformo questi sentimenti in romanzi tragicomici, perché di mestiere faccio lo scrittore. Trarre conclusioni e fare previsioni su ciò che ci attende sta piuttosto ai commentatori e ai notisti politici».
Nel 1977 i Sex Pistols celebrarono il Silver Jubilee in modo assai provocatorio, al punto che il loro singolo God Save the Queen venne bandito dalla BBC. Quarantacinque anni dopo, ecco il Platinum Jubilee: le critiche alla monarchia ci sono sempre, ma non fanno rumore.
«Non è facile stabilire fino a che punto agli inglesi di oggi manchino sia uno scopo sia l’energia per conseguirlo, e quanto siano disorientati da ciò che sono diventati. Hanno votato per la Brexit, ma non si ricordano perché. Sono preoccupati per via delle diseguaglianze e dell’ingiustizia sociale, ma allo stesso tempo restano aggrappati alla famiglia reale perché è un simbolo di continuità in quest’epoca così confusa. I social hanno dato vita a una visione del mondo binaria, si è pro o contro ogni cosa, eppure nessuno è più in grado di assumere una posizione chiara su nulla. In un contesto simile, è difficile esprimere una posizione politica tanto netta come fecero i Sex Pistols con quella canzone».
Per molti britannici il continente è da sempre un’entità estranea, ma fino a poco fa eravate in Europa. Cos’ha significato la Brexit dal punto di vista culturale?
«L’unico senso che riesco a dare alla Brexit sta nel fatto che possa essere l’inizio di una lunga – e a lungo agognata – riflessione che l’Inghilterra deve fare su se stessa. Vogliamo essere più legati, culturalmente, all’Europa o all’America? O a nessuna delle due? Ha senso che il Regno Unito continui a esistere? La Brexit è stata la scintilla che in modo brutale e per molti versi disastroso ha fatto sorgere queste domande. Ci vorranno anni, se non decenni, perché si arrivi ad avere delle risposte chiare».
Tra i temi che percorrono il suo Middle England c’è quello del politicamente corretto. Che ne pensa?
«"Politicamente corretto" è una di quelle espressioni pericolose che possono contenere di tutto. Per me vuol dire rispettare il prossimo indipendentemente dalla sua cultura, dal suo genere, dal suo orientamento sessuale, e da questo punto di vista mi sembra una cosa positiva. Ma non lo è nel momento in cui viene imposta in modo aggressivo».
Negli ultimi anni, in Italia e altrove, la sinistra si è occupata più di identity politics che dei diritti dei lavoratori. E a Londra sono lontani i giorni delle rivolte contro la Poll Tax.
«È così. Penso sia positivo che le giovani generazioni si mobilitino per le identity politics, ma questo mi sembra che avvenga a spese dell’impegno contro le diseguaglianze economiche e le ingiustizie sociali, che anche da noi restano la questione politica fondamentale».
La posizione di Boris Johnson nei confronti della Russia è vicina a quella di Joe Biden. In Inghilterra c’è un dibattito riguardo a quanto sta accadendo in Ucraina? Da noi chiunque evochi la complessità della situazione viene accusato di essere un supporter di Putin.
«Questo ha a che vedere con quanto dicevo prima: ogni cosa ormai viene vista in modo binario, e ciò rende praticamente impossibile un discorso che prenda atto della complessità del mondo in cui viviamo. In ogni caso, per quanto mi è dato di capire riguardo all’Ucraina, io sto con quel popolo, che mi pare vittima di un’aggressione ingiustificabile. Non c’è molto di ammirevole nel comportamento di Putin. Lo trovo cinico e crudele».
Il suo recente Io e Mr. Wilder è un omaggio al grande cineasta austriaco naturalizzato statunitense. Ma con il prossimo libro, Bournville, in uscita a novembre, ci riporterà in Inghilterra.
«Si tratta di un romanzo che inizia nel 1945 e arriva fino al 2020, ed è una storia che vede intrecciarsi vicende personali ed eventi pubblici, tipo l’incoronazione della regina Elisabetta nel 1953 o la vittoria della Nazionale nella Coppa del Mondo del 1966. Come molti miei libri inizia a Birmingham, ma poi l’azione si sposta nel Galles e da lì a Bruxelles e Londra. Di nuovo, è un tentativo di ritrarre l’odierna società inglese: questa volta guardando alla storia recente, alla nostra ossessione nei confronti della famiglia reale e alla nostalgia per l’epoca della Seconda guerra mondiale».
A proposito di Storia, che ne pensa della cancel culture?
«Penso che esista e che sia necessario opporvisi, come a ogni forma di estremismo. Ma credo anche sia stata molto esagerata dai media, che prosperano nel dare vita a controversie e perciò puntano sul sensazionalismo».