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 2022  giugno 07 Martedì calendario

Nell’Almanacco fluido di Drusilla Foer

Mancano 201 giorni a Natale, il sole tramonta alle 20.48, 64 anni fa è nato Prince, 55 anni fa è morta Dorothy Parker. Il giorno che verrà, raccontato da Drusilla, è la cosa migliore che, su una tv generalista, è stata detta e, meglio, dimostrata, su cos’è la storia: il passaporto del tempo. Noi ci arrovelliamo su quanto sia truffaldina la memoria, su quanti anni devono passare da un fatto al suo racconto, sulle differenze, le contestualizzazioni: poi però un giorno raccontato attraverso le sue ricorrenze sembra avvenuto in 24 ore, con tutti i pezzi che combaciano e, se non hanno unità di spazio e di tempo, la hanno di senso.
Questo è il fluid che Drusilla porta in tv: il futuro che è già successo, se soltanto sappiamo guardare il passato, e ricomporlo in un modo diverso, inventato (cosa c’è di non inventato, a questo mondo?). L’Almanacco del giorno dopo di Drusilla è la trasmissione più attesa dell’estate, della nuova Rai per generi e ha, per ora, un solo difetto: la durata eccessiva. Quaranta minuti sono troppi per un Almanacco e troppi per una trasmissione in onda all’ora in cui siamo vivi per miracolo e reggiamo, di tutte le cose, soltanto i piccoli pezzi, essendo in piccoli pezzi anche noi. Non è un difetto da poco ed è persino romantico come non si sia pensato di stemperarlo: anzi, ci sono persino pause teatrali, rumore di tacchi, monologhi decelerati. Ai cultori piacerà. Ai generalisti chi lo sa, ma una cosa è certa: il programma non sembra scritto nemmeno nelle virgole da qualcuno che pensa che «il pubblico non capirebbe».
È Drusilla e non è edulcorata, non è televisiva: funziona perché non funziona, perché è un alieno. Gli sketch hanno tutti almeno una perfidia (i migliori: «Chiedi a tuo padre un parere: magari ha più esperienza di te», nella finta telefonata con Alberto Angela; Topo Gigio che s’intorcina quando prova a farle un complimento, il campo minato del post #metoo; la rappresentazione plastica delle condizioni in cui versa la Rai: lo studio sgarrupato, il cameraman burino, il capo dello studio che non reagisce agli stimoli – «Germano? Fai un segno con la testa se hai capito» – e anziché parlare, scrive su una lavagnetta; la conduttrice costretta a fare tutto come fosse un apprendista).
È Drusilla e non rinuncia a farci un poco la morale, e non si capisce il motivo per cui non dovrebbe, specie se la morale è che «gli uomini in cravatta sono assai più pericolosi dei creativi» e che si può cantare Purple Rain senza essere Prince, a patto che il ritornello lo si mandi in onda cantato da Prince.
È Drusilla e non vuole disturbare: «Entrare in casa delle persone a quest’ora è carino, in fondo, soprattutto senza farsi invitare a cena». È Drusilla e non vuole far carriera: vuole dipingere tutto di fucsia, perché tanto «con il fucsia si casca sempre in piedi». E non vuole far rivoluzioni, ché tanto né a canzoni né a programmi Rai si fan rivoluzioni, ma certo soltanto a lei poteva riuscire di recitare su Rai2, prima del Tg, la poesia più spassosa di Dorothy Parker, quella che dice: «I rasoi fanno male, i fiumi sono freddi, l’acido lascia tracce, le droghe danno i crampi, le pistole sono illegali, i cappi cedono, il gas ha un odore nauseabondo… Tanto vale vivere».
Ora, se siamo un Paese serio, domani mattina, come capita quando Saviano e Jovanotti segnalano un poeta, su Amazon entra in classifica l’opera completa di Dorothy Parker. Non deludiamo Drusilla: lei non ha deluso noi. Dai.