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 2022  giugno 06 Lunedì calendario

Su "Un pessimo affare. Il delitto Borsellino e le stragi di mafia tra misteri e depistaggi" di Giovanni Bianconi (Solferino)

E se la mafia fosse stupida? In fondo, nel suo bel libro Un pessimo affare, pubblicato da Solferino, Giovanni Bianconi ci invita a riflettere su questa possibilità. Bianconi segue da sempre, per il «Corriere», tutte le trame e i disegni delle varie centrali eversive che hanno attaccato, per decenni, lo Stato. Lo fa senza inseguire dietrologie ideologiche ma con il rigore di chi non si ferma neanche di fronte alle verità ufficialmente dichiarate ma cerca di capire.

Per darsi una ragione dell’inferno vissuto in Italia negli anni Ottanta e Novanta del Novecento bisogna cercare, cercare ancora. E porsi domande. Anche le più improponibili.

La mafia è stupida? Certo non sembrerebbe, guardando il potere smisurato che ha avuto e ha nella società italiana. La sua estensione oltre i confini della Sicilia, i suoi legami con poteri finanziari, economici, politici, istituzionali. Ma se si guarda alle campagne stragiste della fase Riina si ha l’impressione che la «Commissione» non fosse guidata da una lucida valutazione dei costi e dei benefici di azioni criminali come quelle messe in campo, ad esempio, nel 1982 con gli assassini di La Torre e dalla Chiesa e dieci anni dopo con le stragi di Capaci e di via d’Amelio.

Quando Riina decise la morte di Pio La Torre lo fece, così dicono gli atti, per reagire alla linea che il dirigente del Pci stava portando avanti con la legge, da lui proposta, che tendeva finalmente a colpire i beni mafiosi, con le confische, e a introdurre il reato di associazione di stampo mafioso. Quattro mesi dopo la mafia decise di uccidere il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, arrivato in Sicilia con l’obiettivo di combattere sul serio un fenomeno che conosceva bene fin da quando era stato in servizio nell’isola, tra il 1966 e il 1973. Già nel 1971 aveva scritto un rapporto in cui segnalava, per primo, l’estensione nazionale del fenomeno mafioso e il suo collegamento con «ambienti e personaggi legati al mondo politico ed economico-finanziario».

L’effetto di quelle scelte dei corleonesi fu l’opposto di quanto si proponevano. La legge La Torre, unificata a quella proposta da Rognoni per il governo, fu approvata e ancora oggi costituisce lo strumento principale di lotta ai poteri criminali.

Il pentito Marino Mannoia al tempo dell’assassinio di La Torre era già all’Ucciardone. Ha raccontato, riferendosi ai capi mafia allora detenuti: «Era certamente un omicidio inutile perché lo Stato avrebbe reagito e allora questi calcoli vanno fatti. Allora c’era qualcosa che noi non sapevamo. Forse c’era qualcosa di più importante che comunque si doveva fare nonostante le reazioni dello Stato».

«Qualcosa di più importante» ci fu certamente nell’omicidio dalla Chiesa. Il racconto di Bianconi descrive chiaramente la condizione in cui il generale, divenuto prefetto, si sentiva nei giorni precedenti il suo assassinio. Era un uomo solo, capiva che la sua nomina era stata decisa senza che gli fosse garantito il potere di coordinamento necessario, senza strumenti forti. Scrive una lettera drammatica a Spadolini già il giorno della sua nomina. Quattro giorni dopo si indirizza alla moglie a proposito di un incontro avuto con Andreotti: «Sono stato molto chiaro e gli ho dato però la certezza che non avrò riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori».

Borsellino, Falcone, dalla Chiesa. Il racconto di Bianconi ci restituisce la dimensione della loro solitudine nel momento in cui attorno a loro si stava stringendo il cappio della mafia. Il figlio Nando racconta di aver visto lo smarrimento di suo padre quando cercava politici che non gli rispondevano neanche al telefono, la figlia Fiammetta descrive come si vivevano, in casa Borsellino, i giorni successivi all’omicidio Falcone: «Cercavo di seguire papà ovunque in quei cinquantasette giorni, la frase ricorrente quando usciva per andare in ufficio era “Papà, vengo con te”. Fino a quando mio padre, cosciente di quello che gli poteva succedere, credo anche a malincuore, ha risolto mandandomi in viaggio con un suo amico».

La mafia sembra stupida anche dopo le stragi del ’92, quando, come dice Bianconi, «ha divelto un’autostrada e un palazzo per uccidere Falcone e Borsellino». L’effetto fu una gigantesca reazione popolare e la decisione del ministro Martelli, che aveva avuto il merito di chiamare Falcone a collaborare con lui, di firmare l’ordine di trasferimento di decine di mafiosi al 41 bis.

La mafia non aveva calcolato tutto questo? Riina, Provenzano e gli altri, finiti finalmente dietro le sbarre, si saranno chiesti se hanno sbagliato a sfidare lo Stato, presi dall’ossessione di togliere di mezzo tutti quelli che si opponevano, non a chiacchiere, al loro strapotere? Forse con le bombe volevano indurre lo Stato a trattare. O forse quelle bombe sono state messe sapendo che si facevano favori a poteri politici, istituzionali. Buscetta dirà in commissione antimafia: «Io credo — io credo! — che l’entità che aveva chiesto il favore alla Cosa nostra di uccidere il generale dalla Chiesa non voleva strascichi...».

L’entità. Quella che ha portato via l’agenda rossa di Borsellino nei momenti seguiti alla strage, quella che ha fatto sparire la borsa di dalla Chiesa e aperto la sua cassaforte in prefettura la notte dell’assassinio. Quella che organizza il maxi depistaggio delle inchieste sulla morte di Borsellino con la falsa confessione di Scarantino. Quella che guida la mano di chi, con le bombe del ’93, voleva garantirsi un assetto politico che somigliasse a quello precedente.

Ha scritto l’ufficio istruzione del tribunale di Palermo a proposito degli omicidi Reina, Mattarella, La Torre, dalla Chiesa: «Sono fondamentalmente da ritenere di natura mafiosa ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di una organizzazione criminale».

Io non credo che la mafia fosse stupida. Perché credo non fosse sola, in quegli anni, a voler conservare un potere che la blandiva, la usava, la indirizzava, ne subiva la violenza.