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 2022  giugno 06 Lunedì calendario

Intervista a Pier Luigi Celli

“La questione mi sembra chiara: siamo dei senza vergogna”.
Pier Luigi Celli crepuscolare e apocalittico.
Sereno e sorridente invece. Mi sembra però incontrovertibile il fatto che sia stato smarrito il comune senso del pudore, il bisogno cioè di custodire una reputazione, di difenderla e magari anche azzuffarsi per tenere la schiena dritta. È ormai affare di pochi, esercizio civico che appartiene a isolati testimoni del tempo che fu. Quindi amen!
Amen!
Voglio bene a Enrico Letta, ma è ingiustificabile il corredo di lottizzatori col quale è obbligato a a farsi la foto di gruppo.
Alla Rai ci vorrebbe di nuovo uno come Celli.
È un circo. Lo dico da sempre: lì serve un domatore più che un manager.
Fu nominato ai tempi del governo Prodi. D’Alema e Marini la convocarono. Lei arrivò a viale Mazzini e investì, cambiò, criticò, cacciò.
La decisione che giudico più importante fu la creazione di divisioni verticali, un modo per rendere responsabili le decine di funzioni che vivono in una grande azienda. Volevo controllare il flusso di danaro. Sapere dove andava e come si spendeva. Quando mi hanno detto bye bye anche le divisioni sono andate a farsi benedire.
Lei era ottimista e di sinistra, un tempo.
Un tempo sì. Quando fui mandato via nessuno che si ricordasse più di me. Fui espulso, raso al suolo dalla politica. Divenni trasparente, inservibile per i miei ex amici. Zero assoluto. Meno male che il mio curriculum mi ha permesso di non stare un minuto sfaccendato.
La sua biografia è zeppa di poltrone. Potere di qua e potere di là.
E dunque?
Oggi più di ieri tanti ragazzi se la stanno vedendo davvero brutta. Proposte di lavoro che sfidano la fame, precarietà assoluta, proposte di nuove schiavitù.
Pieghiamo sempre di più verso il basso.
I cervelli in fuga esistono ancora?
Altro che! E naturalmente fuggono. I bravi fuggono. So di aziende olandesi che offrono contratti da centomila euro l’anno come ingaggio e l’offerta di lavorare anche dall’Italia. Magia dello smart working…
Se uno non è bravissimo, cosa deve fare, autodenunciarsi?
Il mercato del lavoro è piegato verso il basso perché rendite di posizioni, fenomeni decisamente parassitari, svuotano l’economia, la infiacchiscono, raccolgono per sé molto oltre quel che dovrebbero. Il sistema accetta l’enorme ingiustizia senza dolersene affatto. Perciò spiego che abbiamo perso la vergogna, che siamo corrotti dentro.
L’area grigia in cui il monopolio ostruisce e corrode.
L’arricchimento nello spazio intermediato tra chi produce e chi vende è un grandissimo problema. Le ciliegie le compri dall’imprenditore agricolo a un euro e 18 centesimi e sul banco della frutteria di Milano arrivano fino a dieci, dodici euro. Chi mangia oltre i propri bisogni, chi vive di rendita?
Tutto il Parlamento dietro ai balneari.
Ho casa in Salento. Mi dicono che sdraio e ombrelloni quest’anno subiranno impennate enormi.
Vanno anche gli ombrelloni a petrolio e a gas?
Mi dicono che esistono lidi che avanzano richieste fino a 150 euro al giorno. Vede? Siamo perduti.
La Confindustria dice che il lavoro c’è, ma nessuno lo vuole per colpa del reddito di cittadinanza.
Magari al Sud il reddito è competitivo con le paghe da fame. Ma la soluzione non è di togliere il reddito, quanto di aumentare i controlli perché non si alimenti la furbizia di chi sceglie il lavoro nero insieme al sussidio. Sento dire dal presidente della Confindustria che gli industriali non si possono far carico dell’allineamento verso l’alto delle condizioni economiche dei lavoratori. E perché no?
La società è sempre più diseguale.
E si amplia il disagio, si approfondisce la precarizzazione. Dovremmo svitare i bulloni, uno a uno, del palco del lavoro così diseguale.
Dottor Celli, lei vorrebbe svitare l’Italia.
Ecco, svitarla tutta.