la Repubblica, 6 giugno 2022
Nadal XIV
La racchetta in terra e l’espressione incredula di un bambino che ha realizzato l’impossibile: quattordici Roland Garros. L’impero di Rafael Nadal resiste. È qualcosa che si fa fatica anche solo a immaginare: se non ci credete, ve lo racconta Casper Ruud il sentimento che si prova quando si entra in campo contro il re di Parigi. «Ci riscaldiamo, lo speaker ci introduce e snocciola tutte le volte che Rafa ha vinto il torneo: non si ferma mai, ci vuole mezzo minuto soltanto per scandire tutti gli anni...». Il norvegese, che poi era l’altro finalista di ieri, sembrava più un imbucato, che un invitato alla festa. «Ma non sono stato l’unica vittima, qui. Rafa è il giocatore che ho visto in tv negli ultimi 16, 17 anni. Quindi esserci io stesso e affrontarlo... Ecco, un giorno potrò dire ai miei nipoti che ho giocato contro Rafa sullo Chatrier in finale e loro probabilmente diranno “Wow, davvero nonno?”. E io dirò di sì e mi godrò quel momento per molto tempo».
Profumo di Storia. Di leggenda. 22 Slam per Nadal, due in più di Djokovic e Federer, gli altri due mostri sacri che dividono con lui questo tempo. Rafa è il più accreditato a essere eletto “Goat”, il più grande di tutti i tempi, ma rifiuta questo ruolo di supereroe del tennis: «Non so come dirlo: non si tratta dei risultati, ma è l’amore e la passione per questo sport che ti spingono avanti. Il puro piacere di farlo». Perché sia chiaro fino in fondo a tutti chi sia Rafael Nadal e come ottiene questi record, ecco il manuale al quale attinge quotidianamente: «Non gioco solo per me. Mi piace molto quello che faccio, ma quando vedo tanta gente che fa il tifo per me e mi segue in giro per il mondo, è chiaro che in qualche modo io giochi anche per loro e alla fine avverta un senso di responsabilità. Ma non c’è dubbio che le grandi aspettative che metto su me stesso sono solitamente superiori a quelle che arrivano dall’esterno. E, visto che le mie sono molto, ma molto alte, quelle esterne non mi hanno mai generato pressioni o inquietudiniulteriori». Impermeabile dunque al mondo esterno, Nadal vive la vita giorno dopo giorno: è stato educato così, e non tradisce il protocollo neppure nel giorno della festa più grande. Consapevole, a 36 anni compiuti tre giorni fa, di essere anche il più anziano vincitore di Parigi, seppur pieno di acciacchi.
«Nel secondo turno, dopo il match contro Moutet, non riuscivo a camminare. Mi hanno dovuto anestetizzare il nervo. Ma si vive di emozioni, di aspettative e io volevo darmi una possibilità di competere a Parigi: quindi ho accettato due settimane di piede addormentato, e ringrazierò per sempre lo staff medico. Ma ora? Inizio un trattamento, un’iniezione a radiofrequenza sul nervo che cercherà di bruciarlo un po’. Se funziona, continuerò ad andare avanti. Se non funziona, sarà un’altra storia: mi chiederò se sono pronto a sottopormi che so, a un intervento chirurgico importante che mi garantisca di poter essere di nuovo competitivo. Sapendo che ci vorrà molto tempo per tornare».
Rieccolo, il campanello d’allarme che rintocca forte con le voci del suo ritiro, e dire che c’era chi aveva il terrore che lo annunciasse già sul palco dello Chatrier con la coppa dei Moschettieri in mano. «Io sono sempre positivo, per cui vediamo se sono in grado di andare avanti. Non so cosa c’è nel futuro, so solo che continuerò a lottare finché avrò forze». Suonerebbe bene, vero? No, non è proprio così: «Sarò a Wimbledon se il mio corpo sarà pronto per essere a Wimbledon. Perché non è un torneo che voglio perdere, lo adoro e vi ho vissuto emozioni incredibili. Io sono sempre pronto a giocarlo, ma se mi chiedete se ci sarò, non posso darvi una risposta chiara. Voglio vincere Wimbledon, ovviamente. Ma devo aspettare e vedere come funziona il trattamento. Ho corso un rischio per essere a Parigi, non lo farò ancora per il domani. Giocare con gli antinfiammatori, sì. Giocare con iniezioni di anestetici, no. Può succedere una volta, ma non è la filosofia di vita che intendo percorrere».